La depressione, chiamata da Freud melanconia, viene definita come lutto senza fine e senza elaborazione.
Uno dei precursori maggiormente incidenti rispetto all’insorgenza della depressione è stato rintracciato nelle possibili perdite precoci durante l’infanzia.
La perdita precoce non è sempre reale e verificabile (come la morte), può essere interna e psicologica.
Un esempio è l’abbandono dello stato di dipendenza da parte del bambino, in seguito a negligenza da parte del genitore, ancora prima che il bambino sia effettivamente pronto alla separazione.
Secondo Furman, il processo di separazione- individuazione si risolve in dinamiche depressive anche quando la madre non accetta l’autonomia del bambino e si aggrappa inducendo, nel bambino, un senso di colpa per la sua emancipazione o rifiutandolo nel momento in cui torna nelle sue braccia per ricevere sicurezza e calore.
Accanto alla dinamica della perdita dell’oggetto d’amore, incidenti rispetto alla depressione appaiono anche famiglie sorde e cieche rispetto ai bisogni del bambino, famiglie noncuranti che mostrano apatia nei confronti dei figli o, ancora famiglie che scoraggiano ogni tipo di sofferenza.
Il bambino apprende di non poter esprimere il proprio dolore, di non poter chiedere aiuto perché non c’è nessuno che risponde alla richiesta con la protezione e l’affetto necessario.
La dinamica centrale della depressione sembra essere il volgimento verso l’interno del sentimento di rabbia che si manifesta sotto forma di una continua autosvalutazione messa in campo dai soggetti depressi: in realtà la rabbia è rivolta verso l’interno dal momento che il soggetto si è identificato con l’oggetto d’amore perduto (realmente o psicologicamente).
I soggetti depressi, così, dirigono verso il Sé i principali affetti negativi effettuando un vero e proprio sadismo contro il Sé.
Si tratta, infatti, di soggetti che non provano rabbia spontanea, si sentono spesso colpevoli per i loro sentimenti ostili di natura interpersonale.
Nel processo di introiezione e identificazione con l’oggetto d’amore perduto i soggetti depressivi si attribuiscono le qualità più odiose dell’oggetto in questione, mentre le parti affettuose e positive dell’oggetto vengono esclusi dal Sé e ricordate con affetto e tenerezza.
Un bambino che viene abbandonato da una persona per lui fondamentale proverà ostilità e tenderà a proiettare tale sentimento nel tentativo di elaborarlo.
Tramite la proiezione è il padre o la madre (l’oggetto d’amore) ad essere arrabbiato con lui.
Per il bambino questa è una situazione di tensione, è doloroso pensare che l’oggetto sia arrabbiato, è difficile da accettare, così il passaggio successivo è l’identificazione con questa parte rabbiosa dell’oggetto.
Il bambino fa a sua la parte ostile, aggressiva e rabbiosa nella speranza che ci possa essere una riappacificazione.
Da questa dinamica deriva la percezione del Sé come complessivamente cattivo, insufficiente, non meritevole. È il Sé ad essere colpevole della perdita subita.
La sensazione di essere stati rifiutati, abbandonati, viene trasformata nella convinzione inconscia di non essere meritevoli di vicinanza, di aver causato l’abbandono e di meritare il rifiuto.
Immaginiamo di aver perso una persona per noi significativa e immaginiamo di credere che la colpa di tale perdita sia nostra: tenderemo con tutte le nostre forze a recuperare il rapporto, cercando di provare affetti postivi verso la persona che abbiamo deluso e perso.
In questo contesto emotivo-affettivo è impossibile riconoscere i sentimenti di ostilità come connaturati al processo relazionale.
La possibilità di esperire affetti negativi e sentimenti ostili verso l’esterno e verso gli altri è, inoltre, bloccata da un Super-Io severo e rigido che induce al senso di colpa: si assiste ad un “autoaggressione dell’Io da parte del Super-Io”.
Così, l’insorgenza della depressione in età adulta è spesso causata da nuove esperienze di perdita, abbandono e rifiuto che riaprono la ferita originaria e che ridestano il sentimento del senso di colpa.
Nel momento in cui subiamo una perdita, il nostro mondo relazionale e il nostro mondo interno appaiono impoveriti: sperimentiamo una condizione di vuoto.
Nei soggetti depressi questo vuoto viene colmato con la rabbia, che non viene espressa nel contesto relazione e che diviene una vera autoaccusa.
La percezione della rabbia non viene annullata, è lì presente, percepita, ma rivolta esclusivamente verso il Sé. Riempie ma accusa, denigra e svaluta.
Un passo avanti verrà fatto solo quando i sentimenti e gli affetti ostili non saranno rivolti solo ed unicamente verso il sé, quando si riconoscerà la reciproca responsabilità nel processo relazione e nel suo possibile fallimento: quando avremo un elaborazione del lutto.
Quello che il soggetto depresso ha appreso è di non poter esprimere affetti negativi, di doverli contenere e reprimere. È importante che questi emergano, che appaiono nella loro dirompenza in modo da raggiungere un nuovo equilibrio che ne prevede la realizzazione attraverso modalità consone.
Le relazioni funzionali sono relazioni caratterizzate da ambivalenza: affetti positivo e negativi coesistono; gli affetti negativi che ci appaiono distruttivi possono essere costruttivi quanto quelli positivi, ci aiutano nella costruzione interpersonale di rapporti all’interno dei quali poterci esprimere e realizzare.
È la falsità o la mancanza di contatto che provocano solitudine e abbandono: esattamente come noi notiamo quando qualcuno ci cela i suoi affetti e le sue emozioni, gli altri se ne accorgono rispetto alla nostra persona.
Si tratta di apprendere un nuova modalità di espressione personale, rispetto alla quale dovremmo sentirci liberi e soddisfatti.
Esprimere la rabbia, sarà distruttivo, solo se ci interfacceremo con persone che reagiscono in modo patologico ad affetti negativi.
Contattare la rabbia, capirne la causa, esprimerla, ci consente di contattare quella sensazione di vuoto evitata, la cui accettazione ci consente di andare avanti, sperimentando nuovi affetti positivi e nuove dinamiche relazionali.
Fabiana Manghisi
Tirocinante presso lo Studio Burdi
Laurea Magistrale in Psicologia Clinico-Dinamica
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