La condivisione e
l’amore di sè
Quanto ci stritola la vita? con i suoi ritmi, il lavoro, i figli, la crisi, la guerra, le difficoltà, la pandemia, la mancanza di soldi, la politica che non funziona, i problemi di salute, la coppia che non va, la vita sociale non ti appaga, quella lavorativa ancor meno, i colleghi di lavoro che ti avvelenano, stimoli culturali pari a nulla, esci di casa e pare che stai andando a fare la guerra con il pugnale tra i denti e l’elmetto pronto a colpire se non a difenderti, le persone che ti vomitano addosso i loro problemi come se tu non ne avessi sufficienti di tuo ma tu, inspiegabilmente, non hai la forza di dire <<no>>, <<basta>>; soggetti instabili ed inaffidabili mascherati da rocce umane che ti risolveranno la vita affettiva per sempre.
Arrivi in ufficio, se hai la fortuna di avere un lavoro, e sei preso d’assalto; il capo ti prende d’assalto, tutti avvolti in questa nube tossica non meglio identificata.
Se non hai un lavoro sei assalito dai debiti, dalla moglie o dal marito, che non fa che rinfacciarti che le cose non vanno, che vorrebbe di più, l’auto più, la casa più, il figlio più e, non tanto sotto sotto, ti sta dicendo che la colpa è tua, che non ti impegni abbastanza, che non ti adoperi, che non sei capace a nulla e non lo sarai mai, che sei idealista ma non concretizzi mentre lui (o lei) fa tutto per tutti e porta il pane a casa. I figli che pretendono sempre di più e tu sei stritolato dai media che dicono loro ciò che devono desiderare, ciò che fa <<figo>> e tu non ce la fai a negarglielo e se glielo neghi perché non ce la fai è la fine della genitorialità, ti cancellano, si negano a te ed improvvisamente non sei più un buon padre o una buona madre e dalla sera alla mattina sei deceduto per loro.
All’antica cantilena <<essere o non essere>> se ne sostituisce una nuova e più potente <<essere o avere>>: due a zero per <<avere>>!
A fine giornata sei morto o come un giorno disse un personaggio – transitato per un attimo nella mia vita ma insediatovisi nella memoria eterna – <<frastordito>>, un fritto misto tra <<frastornato>> e <<stordito>>. Un genio! Io non avrei saputo creare di meglio!
A me verrebbe piuttosto da dire <<ci sarebbe da essere depressi!>>.
Ma veniamo al punto.
Il punto è che se si permette a questo vortice di ingoiarci come sabbie mobili, che farebbe rima con <<nobili>> ma che di nobile non ha nulla, sei finito.
Restituire alla vita il suo significato, a noi stessi il giusto significato ed il giusto ruolo nel mondo, agli altri la giusta ed adeguata collocazione, ai problemi la giusta dimensione, ristabilire le priorità, ritrovare l’isola che c’è, scegliere e non subire le scelte, diventare registi della propria vita e non mere comparse pagate (se pagate!) con trenta denari per essere comprati e costretti ad abdicare a se stessi divenendo oggetto di tangente e Giuda di se stessi. Perseguire ciò in cui si crede, costi quel che costi, affrontare le battaglie anche quando saremo in solitudine ad affrontarle – ma in battaglia siamo sempre soli con noi stessi perché il nostro primo nemico da abbattere è proprio quella parte di noi che teme il confronto, il conflitto – consapevoli che alla fine la verità verrà fuori e questa sarà la vera vittoria; scegliere di condividere la propria vita solo con chi ci fa stare bene, fare solo ciò che ci piace, allontanare ciò che ci danneggia. Allungare il braccio e con la mano tesa porre le distanze da tuttociò che si discosta dal nostro protocollo del benessere.
Diventare vigili urbani di se stessi, mentalizzare questo gesto è salvifico.
Prendere le distanze da ciò che ci sta facendo del male è salvifico.
Non negare a noi stessi che una data situazione ci sta facendo del male, ciò è salvifico.
E ciò va fatto, subito, senza por tempo in mezzo, nel momento in cui un pugno nello stomaco ci raggiunge e ci avverte che quella situazione, quella persona, quella circostanza ci sta uccidendo, ci sta chiedendo di abdicare a noi stessi, di tradire noi stessi, di rinunciare al nostro bene che solo noi sappiamo quale sia.
Fare finta di niente, il <<politicamente corretto>>, farsi invischiare nelle altrui disfunzioni mentali ed affettive, questo non è salvifico.
Allungare il braccio e stendere la mano in segno di <<stop>> ti dà la lucidità di guardare le cose, le persone, le situazioni, le circostanze per quello che sono e trovare la soluzione migliore per te che, attenzione, non è detto che non ti farà soffrire ma certamente ti farà soffrire meno che se tu decidessi di tradire te stesso e di subire passivamente ogni prevaricazione che proviene dalla vita.
Come disse Esopo: <<È facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza>> (Esopo, Favole, VI sec. a.e.c).
Prendersi tempo, darsi del tempo, nella consapevolezza come disse Ghandy che <<quando hai fretta devi camminare lentamente>>.
La distanza giova a purificare certi difetti che di presenza risultano intollerabili e paradossalmente è possibile che così facendo si possa anche salvare ciò che ritenevi perduto per sempre ma in ogni caso avrai salvato te stesso.
Concluderò questo message in a bottle, come la famosa canzone dei police, con un’’ultima riflessione: il vero problema non è ascoltare i problemi altrui ma non saperli condividere.
E questo accade quando qualcuno ci considera il suo contenitoredi sfogo poiché è un tutt’uno con il suo problema, vero, grave o finto che sia non sapendone prendere le distanze e lì non vi è sana comunicazione ma l’avvelenamento di chi supinamente subisce.
Condividere i problemi è possibile purchè ciascuno sappia a sua volta prendere le distanze da se stesso e dal proprio problema non identificandosi con esso. Solo così nascono la vera condivisione e l’arricchimento reciproco. E parafrasando una frase di MahatmaGandh: <<Non permettere a nessuno di passeggiare nella tuamente coi piedi sporchi>>.
Laura C.
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