IL PROBLEMA È LA SOLUZIONE
IL PROBLEMA È LA SOLUZIONE.
Quando tocchi il fondo, inizia la salita.
“Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e ad uscirne vivo.
“Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”
così recita il passo di un libro dello scrittore giapponese Haruki Murakami, ed è così che mi sento io, solo che io so come ho fatto ad attraversare la tempesta: con la psicoterapia di gruppo.
Ero in uno stato di profonda prostrazione fisica e psicologica, a causa della gravissima e improvvisa crisi del mio matrimonio, in preda ad una grande sofferenza interiore che mi logorava.
Una vita intera trascorsa con un’unica donna da quando ero solo un’adolescente, una donna che aveva scaricato su di me delle problematiche sessuali che io, per inesperienza, per insicurezze profonde e anche per scarsa autostima non ero riuscito ad affrontare e che avevo subito per anni.
Ad un tratto lei sembra averle risolte con il suo amante e, da quel momento in poi, sono stato offeso, respinto, buttato nella pattumiera, vilipeso nei miei sentimenti più profondi, lasciato in mezzo ad una strada perché ormai inutile, sentendomi ripetere come un mantra “rifatti una vita, perché io non ti voglio più!”, così, all’improvviso.
Io rifarmi una vita? Io che in vita mia non avevo mai dormito se non con lei, io che dipendevo completamente da lei, io che non avevo una mia identità al di fuori della mia famiglia.
Io che, purtroppo, continuavo ad avere quelle insicurezze che poi avevano portato al fallimento del mio matrimonio. Ero disperato, distrutto, mi vedevo solo, in preda ai miei mostri, che popolavano notti insonni, contro cui nulla potevano gli ansiolitici.
Fu così che ho deciso con coraggio di rivolgermi al dr.Burdi e alla psicoterapia, sono trasecolato quando mi è stata proposta la psicoterapia di gruppo, la ritenevo assurda, ma è stato proprio lì, nel rispecchiamento con gli altri che ho trovato la forza di andare avanti.
Speravo di salvare il mio matrimonio, non ce l’ho fatta, ma, cosa molto più importante, ho salvato me stesso. Ho guardato in faccia le mie paure, le mie insicurezze, ho creduto nel gruppo e nello psicoterapeuta anche quando non ci credevo, ho eseguito il percorso anche quando non ne ero convinto, solo così ho creduto in me stesso.
Nel giro di alcuni mesi ho ottenuto qualcosa che forse non avrei mai ottenuto, se non dopo anni di sofferenza. Ho capito che il mio problema era la soluzione, sono andato a vivere da solo, ho imparato a badare a me stesso, ho reciso ogni legame con quella che era diventata solo una dipendenza affettiva.
Ho mantenuto integro il mio ruolo di padre, ho capito che amo la vita e voglio viverla, mi sono avvicinato ad un’altra donna instaurando una relazione intima più sana, stupendo anche me stesso e mettendo di nuovo insieme i cocci di quei sentimenti che mi erano stati fatti a pezzi.
Ho cambiato amici, ho intrapreso nuovi hobby, mi sono aperto al mondo e alla gente, ho raggiunto quel sano egoismo che prima non mi apparteneva, ho imparato a vivere l’ “hic et nunc”, “l’ora e l’adesso”, senza pensare troppo all’angosciante futuro.
E’ così che ho attraversato la mia tempesta, in effetti non so se l’ho attraversata del tutto, a volte resta il timore di tornare al punto di partenza, ma ripeto a me stesso che questo non è possibile.
Solo con una potente autostima si può vivere serenamente la propria vita, solo credendo in se stessi, ce la si può fare, anche quando tutto sembra perduto.
P.S. Mi è costato molto scrivere queste righe, ho pianto per la commozione mentre lo facevo, perché ho rivisto la mia triste e dolorosissima storia scritta nero su bianco, ma l’ho fatto, perché non ho più paura, perché spero che possa servire agli altri, a chi crede che tutto sia perduto, a chi vede tutto nero, a chi non spera più e invece non sa che proprio il problema è la soluzione.
Simone
ContinuaGODERSI LA VITA
GODERSI LA VITA.
Essere edonisti di se stessi.
Di nuovo. Forse per la prima volta. Ho sempre pensato che la vita fosse una continua sfida per dover dimostrare agli altri, non a se stessi, di valere.
Sforzi spesso eccessivi in cui non ci si sente mai abbastanza per chi ci sta intorno ma, chi pensa poi a noi?
Ecco, seguendo il percorso con il dottor Burdi, ho scoperto finalmente il valore del termine Pazienza.
Tutti meritano amore, tutti meritano emozioni, ma spesso tutto già ci appartiene se si scopre che per prima cosa toccherebbe avere amore per se stessi e trattarsi come giusto che ci meritiamo.
Le cose volgeranno come vogliamo noi poi, perchè non dobbiamo dipendere da nessuno se non a noi stessi.
Tocca iniziare quasi con un atto di fede buttandosi veramente a voler stare bene ed uscire dall’ombra.
Spesso si facevano buone azioni sperando che ci ritornasse indietro, spesso allontanavamo le emozioni perchè timorosi di gestirle, spesso ci si arrabbiava perchè incompresi e sottovalutati.
Io ero un digrignatore professionale, sapevo di valere ma nello stesso tempo ne dubitavo, causa esperienze che mi portavano a ricredere delle mie capacità, quando spesso il problema non ero io ma chi mi stava intorno, che sia famiglia-amicizia-relazioni sentimentali.
Ero arrivato a somatizzare le mie emozioni soffocate, soffrendo anche fisicamente, poichè accumulavo sempre di più tutto, perchè era entrato in un circolo vizioso in cui dovevo dimostrare ma non vedevo riconoscimenti, confondevo un istintoa cui mi affidavo molto, con l’impulsività, cedendo spesso così a conclusioni sbagliate,rimuginando molto successivamente.
Quanti treni persi mi dicevo. No. Quanti ancora invece ne devo prendere ora, penso, e non ho più paura di provarci.
Perchè ho imparato dal percorso della Stanza degli Specchi, proiezioni, che riconoscendosi nelle storie degli altri, si crea un’alchimia, un’empatia che prima o poi colpisce tutte le persone del gruppo, portando di conseguenza delle sensazioni di ”appartenenza”, spirito di Squadra e di cura.
Esatto, riconoscersi in sentimenti, episodi simili o emozioni provate, ti fa sentire parte di qualcosa, non più pecora nera smarrita e allora riporta alla luce quella forza che pensavi di non avere.
Ricostruirsi quindi, con Pazienza, seduta dopo seduta, per arrivare alla meta finale.
Sono contento quindi di poter pensare che questa mia personale esperienza, questo mio percorso, possa un giorno far rispecchiare qualcuno per poter dire ”Just Do It”, per essere una testimonianza in grado di colpire empaticamente chi vuole veramente cambiare, in meglio. Una volta per tutte.
Siamo noi stessi la cura, siamo noi a doverci credere per prima e saremo noi un giorno a ringraziare noi stessi per non aver mai mollato.”
P
ContinuaIl mammone bamboccione
IL MAMMONE, BAMBOCCIONE. L’ apprensione che non fa crescere.
L’errore nella vita di ciascuno di noi è essenziale e necessario. Le difficoltà, Il fallimento, aldilà della loro connotazione negativa, spronano a far di più e meglio, facendoci conoscere quali sono i nostri limiti e i nostri veri desideri.
Tanti ricorderanno lo strepitoso successo di “Ricomincio da tre”, film del 1981 diretto da Massimo Troisi. Un film ancora ineguagliato come permanenza nelle sale italiane. Tra i tanti personaggi che s’incontrano, nel susseguirsi della trama, uno riesce, su tutti, a destare nello spettatore, uno strano mix di sentimenti, sospesi a metà tra tenerezza e compassione.
E’ il quasi cinquantenne Robertino (Renato Scarpa) che nonostante l’età, conserva modi, pronunce e ritrosie tipiche di un preadolescente.
Il suo unico svago sembra essere la visita di Frankie, un predicatore protestante italo-americano. Per il resto: lui, mammina e i suoi schemi mentali alquanto retrivi.
L’atteggiamento critico della madre, sui costumi della moderna società, sui giovani di oggi che confondono sesso e amore, sul demonio, nascosto in ogni dove, hanno reso Robertino, un oggetto da museo.
Incerto, muto, dipendente ed estraneo a qualsiasi pulsione esterna. Non a caso chiederà a Gaetano (Troisi) dopo quante volte, il fare l’amore, diventa un atto immorale. Da qui, l’invito insistente di Gaetano a uscire, a far qualcosa, semmai anche “rubando e toccando e’ ffemmine”, tutto purché impari a vivere.
Robertino ha una mezza crisi istrica, preferisce rimanere con mammina e nessuno lo istigherà a cambiare. Sebbene il resto dei personaggi, nel film subisca un’evoluzione (o un’involuzione) di Robertino si perdono le tracce. Ma ne intuiamo la profetizzata fine: “mammina te mann a o manicomij, attè”.
Non ci interessa molto il fatto se Robertino è mammone o bamboccione; se è dalla sua gioventù che continua ad essere uno “sdraiato” (come i ragazzi del libro di Michele Serra) o non ha trovato lavoro perché troppo “choosy”; se un padre ce l’ha o è scappato dalla famiglia per disperazione.
Quello che lo distingue è l’essersi arreso: ai dettati (dettami) della madre, alla sua emancipazione, alla vita stessa. In poche parole: ha scelto di non sbagliare. Sbagliando poi, tutto.
Uscite da casa vostra! Pioverà, ci sarà vento, vi sporcherete le scarpe, vi innervosirete per la macchina in doppia fila…ma uscite! Uscire, nella vita, vuol dire crescere, verbo che la sapienza dei latini accostava a “creare”.
Quella creatività/creazione oggi, più che mai, fondamentale per scoprirci come uomini e donne che, nella fretta del mondo, rischiano di perdersi e svanire. O nascondersi, come Robertino.
Da piccolo, mi interrogavo sul comandamento: “Onora il padre e la madre”. Che voleva dire? Ero bravo a scuola, facevano tutto quello che dicevano, in fondo non li stavo onorando? Quale sarebbe alla fine lo scopo? Dopo, cosa ne rimarrebbe, la dipendenza o l’ autonomia?
Disobbedire è crescere ed imparare l’autonomia, allontanandoci dai processi educativi proposti ed imposti, alla ricerca della propria educazione. Un uomo sarebbe in grado di educarsi da solo.
L’insegnamento dei genitori serve, se ci aiuta ad “errare” e maturare, a diventare grandi, a diventare uomini e donne, padroni delle strade del mondo avviene, lasciando la mano.
luca
ContinuaSaper dire di NO
Saper dire di NO.
La sindone dello Yes Man
Ogni giorno assecondavo le richieste di tutti. La famiglia, gli amici e i colleghi sapevano già che la mia risposta sarebbe sempre stata affermativa e io ogni volta con un bel sorriso stampato sul volto pronunciavo il mio SI .
Dovevo rendermi sempre disponibile. Ero considerato altruista e generoso e non potevo disattendere le aspettative degli altri. Il mio obiettivo di vita era aiutare il prossimo… o aiutare me nel fare così ?
La mia era diventata una missione, una predisposizione quasi sovrannaturale. La gente intanto mi apprezzava. Il consenso sociale mi faceva sentire bene, un bel ritorno e contraccambio affettivo.
Con l’avanzare degli anni e con l’aumentare delle richieste di aiuto sempre più insistenti e fuori luogo notai che quando vedevo gli altri avvicinarsi per chiedermi qualcosa,
mi agitavo, percepivo calore sul viso e quando dicevo SI, mi assaliva l’ansia perché così sarei stato costretto a occuparmi di un nuovo impegno altrimenti avrei deluso il richiedente e ciò non doveva assolutamente accadere de essere deluso. Mi caricavo di ansie e di fatiche vivendo da sempre così e non avendo mai tempo per me. Magari io potevo pur essere deluso, ma senza aspettarmi mai nulla dagli altri.
Non potevo andare avanti così, mi ero ridotto allo stremo delle mie forze pur non avendone consapevolezza di tale meccanismo.
Mi sono rivolto alla psicoterapia per risolvere alcuni problemi e un giorno che il dottore parlò del numero 1 che è il nostro vero se, e del numero 2, la considerazione assoluta degli altri dentro e fuori di noi, presenti entrambi in ciascuno di noi, allora realizzai quello che succedeva in me.
In pratica il numero 1 sarebbe la nostra reale personalità, il nostro IO, che vorrebbe emergere e che invece noi facciamo tacere per dare spazio al numero 2 che ubbidisce alle regole della società, al senso del dovere, che si allinea alle convenzioni e cerca irrimediabilmente il consenso sociale.
Concretizzavo finalmente di aver sbagliato tutto sino a quel momento, amarmi attraverso gli altri e il loro consenso, distruggeva la mia autostima.
Capii che ero totalmente dipendente dagli altri, dal loro riconoscimento e sebbene sapessi in fondo al mio cuore di sentirmi spesso usato, sfruttato il mio numero 2 rispondeva sempre di SI a chiunque, perché io senza gli altri non avrei avuto ragion d’essere. Il mio non era assolutamente un SI sincero.
Il mio SI era un obbligo. Dovevo piacere a riti i costi agli altri, dovevo occuparmi della mia famiglia, dovevo essere collaborativo con i miei colleghi, DOVERE, DOVERE, DOVERE.
E io? Il mio numero 1, sempre dopo, da parte, mai presente.
Quella seduta fu illuminante. Avrei dovuto cambiare qualcosa. Dovevo provare a dire il mio NO sincero. Non era facile però per un assistenzialista come me imparare a dire NO. Dovevo essere più leale con me, esprimere il mio parere, prendere una posizione attiva.
Dovevo dare spazio finalmente a questo numero 1 che probabilmente non aveva mai proferito parola. Basta la passività, basta essere succubi della società. Volevo autodeterminarmi.
Iniziai quindi a dire quei NO veri con grande difficoltà. Subentrava spesso il senso di colpa per non aver aiutato qualcuno. Però d’altro canto iniziavo a sentirmi meglio. Diminuirono quelle ansie, quella agitazione. Sapevo quindi che stavo perseguendo la strada giusta. Incomincio ad esistere anch’ Io.
Realizzai che questo malessere che percepivo mentalmente e fisicamente era provocato dal mio numero 1 che si dimenava ed affogava dentro di me ogni volta che dicessi SI. Dovevo dare importanza a queste reazioni. Dovevo soffocare il numero 2 e lasciare spazio a me.
Quando dicevo NO mi accorgevo di recuperare un pezzo di vita. Mi sono ritrovato sgombro di pensieri e di affanni legati al mio mondo esterno. Avevo più tempo per me e potevo finalmente lavorare sulla mia persona e riprendere la mia progettualità.
Provavo soddisfazione a dire NO a quelli che fino a qualche tempo fa credevano di controllarmi e adesso prendevano coscienza del mio essere.
Gli altri non puoi portarteli a spalla se non imparano a fare qualcosa per se, come sto imparando io.
Mi circondavo di persone giuste che veramente mi volevano bene e non approfittavano della mia generosità.
Oggi mi dedico alle mie passioni. Progetto la mia vita senza dipendere da nessuno. Sono più libero e determinato.
Mi reputo sempre altruista ma sono consapevole che non si possono aiutare gli altri se prima non si sta bene con se stessi. Ho preso Nuovamente le redini della mia vita.
Ringrazierò sempre il NO per il forte potere terapeutico che ha avuto in me. Il NO è il primo passo per l’autodeterminazione, è fondamentale per l’emancipazione ed è la più forte espressione di protesta esistente che aiutano gli altri a lavorare su se stessi.
Bisogna partire dal NO per riconquistare la propria vita e per aiutare gli altri a prendersi cura realmente di se, perché il vero aiuto che possiamo dare al prossimo non è l’ assistenzialismo, ma lasciar intendere di lavorare su se stessi, come per me, per migliorare.
marcello
ContinuaFesteggia il Compleanno
Il Compleanno
Perchè è importante festeggiare.
Nascere è l’atto più importante dell’ esistenza, l’entrata in scena, la scintilla da cui divamperà l’incendio.
È l’inizio dell’ unico film nel quale siamo il protagonista assoluto.
Nascere è l’ evento e l’ avvento, è il 25 dicembre di ognuno, nasce la storia perché esista il passato e il futuro, nasce la storia che consente di vivere di storia.
Il concepimento è l’imperativo del passaggio dal nulla all’ esistere, è il momento sublime che decreta la nostra presenza.
Il concepimento è l’ esplosione della vita dal micro cosmo alla storia. Esso afferma la storia e questa viene fissata attraverso il compleanno è l’ esordio e protagonismo nella vita.
Ma cosa accade se la ricorrenza scompare ? Ne sanno qualcosa i nati in data 29 febbraio, in qualche modo candidati a una forma perversa di oblio, privati come sono perfino del birthday, “giorno della nascita”. Così recita Stefano Massimi in un articolo de “ la repubblica “.
La nascita viene stabilita attraverso precise coincidenze di fattori straordinari che determinano il concepimento di quell’ unica persona assoluta.
Non potremmo esistere se non a ridosso di quei precisi micro istanti e circostanze ambientali tali che se fossero diversi, non saremmo mai nati.
Il concepimento è un’ opera d’arte di sincronie di tempi, alchimie psico fisiche, calori, alimentazioni, clima degli umori, desideri, eccitazioni nel vivere l’altro, è un’ opera d’ arte di ingegneria del desiderio, da non trascurare.
Esso è il count down delle esplosioni energetiche in un giro volta a festa di sequenze cromosomiche attraverso geometrie genetiche elicoidali che si abbracciano e si baciano.
Nasciamo attraverso un giro volte di avvinghiamenti biologici vorticosi.
Ognuno di noi è una unica funzione biologico matematica di un proliferare di codici binari cellulari.
La vita è un lancio pirotecnico di gameti calamitati, sparati in un impeto di vitalità e attratti l’ uno verso l’ altro verso un impatto frontale da far coabitare l’uno nell’altro.
Il concepimento è la coabitazione tra le diversità che genera l’ originale.
Coniugazione d’amore, puri istinti che comandano e l’uomo obbedisce, incidente di percorso o distrazione in cui la perdita del controllo risulta vitale e vincente sempre. Comunque sia, la vita è strapotente, non regge a compromessi, non ci sarebbe senza la perdita del controllo.
Anche quando gli anni diventano tanti e non si ha voglia di festeggiare, è un inno alla vita, perché la vita pretende che gli anni non passino mai.
Il compleanno è concepimento, è nascita e storia, è il big bang ed apertura del sipario alla “prima” , è l’ apice dell’ edonismo, è la meraviglia, è la festa del piacere, è il più grande progetto senza precedenti e sarebbe un aborzionismo non festeggiarsi. Dedicato a mia figlia Cristiana.
giorgio burdi
ContinuaTerapia di Gruppo e il gioco di squadra
Terapia di Gruppo, Il gioco di Squadra nella Stanza degli Specchi
Una cosa che penso possa valere in qualsiasi settore delle nostre vite è che dal gioco di squadra la ricompensa sarà sempre doppia.
Pensare da team porta ad attenuare le fatiche mentali e fisiche che accumuliamo senza renderci conto, accresce fonti, quali l’armonia e creatività, ma senza mortificare le doti personali dei singoli.
Contare su colleghi, team worker, porta a contare su più idee.. risorse.. energie, su angoli profondi di vedute differenti, ottimizzando così le potenzialità del caposquadra che ha il compito di mostrare il valore di ciascuno dei suoi compagni di squadra, dal veterano al nuovo arrivato.
Termine chiave è la condivisione, che sia fallimento o successo. Il Cooperare supera il Competere.
La finalità di tutto ciò è riuscire ad avere una mentalità più coraggiosa e motivata che prevarranno su stati ansiosi spesso immotivati..
Conta ritrovare la fiducia e le cause dei nodi di un blocco emotivo e solo chi crede fermamente di potersi migliorare in un contesto allargato, mettendosi in discussione ed svoltando, può risalire la china, anche se di primo impatto un suo collega non gli vada a genio.
La stanza degli specchi è come il più classico dei fine primi tempi, squadra negli spogliatoi a condividere ciò che gli passa per la testa, a capire e carpire dove si è sbagliato e accogliere i punti di vista dei compagni.. per riuscire a ritrovare il bandolo della matassa, per arrivare alla vittoria: Comunicazione e Dialogo dalla superficie alle grotte.
Si può capire quindi di come abbia un valore importante, per il benessere del singolo, il termine Gruppo.
Il Noi che riporterà l’Io ad avere più consapevolezza dei propri mezzi.
Non è mai troppo tardi per essere sicuri di sè. Just do it.
La Classe delle 18
Continua
Preghiera di Natale
Preghiera di Natale
Buon Natale di chè ? Se 364 giorni all’ anno c’è invidia, pettegolezzo, Critica sferrata, giudizio arroganza, invadenza della privacy, presunzione,
Litigio continuo, 364 giorni di conflitti, di atteggiamenti velati e manifesti di rivalità, di dissensi, disappunti, di supremazie che ti fanno intendere che sei sbagliato e non vai mai bene su nulla,
per chi si erge a dominus, a Padre Eterno. Lui è l’ Unico davvero capace di comprensione, di compassione, di augurare il Natale.
l’ Unico degno, capace di rispetto, promotore della dignità e della promozione umana e della speranza che si può ancora cambiare, e che non è mai troppo tardi e che c’è sempre tempo per migliorare e che non sei sbagliato mai, e non sei un aborto, perché sei Sua creatura. Chi boccia non può fare alcun augurio. Abbiamo tanto da imparare da Dio,
non giudica, ama sempre, comunque tu sia, non si erge pur potendo, da Lui c’è molto da imparare, Lui, e chi come Lui, può dire dignitosamente Buon Natale. L’uomo, è buono perché è Suo, ma questi è spietato e SEVERO,
Per il suo libero arbitrio di ergersi sull’ Eterno. Si pone come un potente, nel suo essere finito, nella sua tracotanza di fragile. Evviva i poveri e chi si sente fragile, perché li c’è il vero UOMO,
la vera forza è in chi si riconosce debole e non si vergogna dei suoi limiti, dei suoi pensieri e delle sue emozioni
È Nel riconoscere la propria natura precaria che rende l’ uomo potente e e lo unifica agli altri e gli ricorda che siamo tutti simili, bisognosi di comprensione, di solidarietà di e di amore.
Il povero ci ricorda il vero Uomo, che non ha nulla, ma ha il massimo, se stesso e la sua umanità.
Il povero ci ricorda Dio, il povero è vicino a Dio, il povero è Dio, il povero è Uomo. Solo lui Può dire Buon Natale. Gli altri, dovrebbero tacerlo.
Dovrebbero operare una profonda analisi nel desiderare un cambiamento verso il loro vero uomo, sradicando dal volto le maschere che non sono.
Il povero ci ricorda l’ Uomo, la nostra sofferenza, ed è solo la sofferenza che ci rende uomini vicini. Dovremmo poter dire: Ma come ti permetti di dirmi
Buon Natale se non sei in grado di comprendermi e di condividere i miei dolori ? Solo chi soffre e condivide con me, può dirmelo.
Serve una piccola consapevolezza per cambiare l’ atteggiamento e il comportamento per riavvicinarci Per autorizzarci nel dire Buon Natale.
Può dirlo chi aiuta ed è presente col cuore ed è vicino a chi sta male.
Chi è in contatto ed è vicino alla sua anima, può essere vicino agli altri gioendo per la sua felicità.
Bisogna ricordarci chi siamo Spostare il baricentro dalle idiozie Delle belle palle colorate di una inconsistente onnipotenza, al
magma incandescente dei sotterranei della nostra anima, per augurare la rinascita di un buon Natale.
BUON NATALE
giorgio burdi
ContinuaIL CORAGGIO DI CAMBIARE
IL CORAGGIO DI CAMBIARE
L’ ansia sollecita l’ evolverti
Roberto Benigni ha detto “Iniziare un nuovo cammino ci spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi”
E’ vero, Iniziare un nuovo percorso ci fa paura, è faticoso, la nostra prima reazione è proprio quella di rimanere attaccati a tutto quello che apparentemente ci fa sentire al sicuro.
Fermati un attimo a riflettere, sono proprio quelle tue abitudini ad averti portato qui oggi, a sentirti come ti senti, in questo vortice di ansia e negatività.
L’ansia non è altro che il mezzo con cui il tuo io interiore ti sta dicendo che c’è qualcosa che non va, che è tempo di cambiare rotta perchè la tua vita sta andando nella direzione sbagliata.
E’ una voce che ti urla da dentro e cercherà di catturare la tua attenzione in un modo o nell’altro, devi imparare ad ascoltarla, lasciala parlare non è qui per farti del male, anzi tutto il contrario, è arrivata per aiutarti. Benedetta ansia, tutt’ altro che maledetta.
Tutte quelle volte che hai detto si quando in realtà volevi dire di no, tutte quelle volte in cui hai lasciato decidere a qualcun’altro quello che dovevi fare, chi dovevi essere.
Hai dato per scontato che la felicità di qualcun altro fosse più importante della tua ed hai tradito il tuo sano e sacrosanto diritto di stare bene, ed è proprio li che la tua anisa ha avuto origine e motivo di scalpitare.
Il tuo nuovo cammino inizia qui, inizia da te. Amati , perdonati, apprezzati, sii orgoglioso di te a dispetto di qualunque cosa possano dire o pensare gli gli altri di te, sei meravigliosamente unico.
Abbandona ogni illusione o abitudine che ti ha portato cosi lontano da te stesso e riposati, riparti circondandoti di persone che costruiscono ed intraprendenti,
che ti incoraggiano e credono in te. Il tuo cammino inizia qui, inizia da te, riparte dall’ ansia, inizia dai sintomi.
ContinuaGIUDICARE e SCEGLIERE
GIUDICARE & SCEGLIERE
La paura per la loro distruttività.
Folle di persone, simili, mondi nei mondi, scie multi direzionali di colori, costellazioni di pensieri, intersezioni di cammini, voci confuse, intrecci di sentimenti, di profumi, di storie incastrate, sofferenze sovrapposte, armonie d’ amori, follie di emozioni, tante uguaglianze in quante difformità.
Ci vorrebbe davvero poco per non difendersi dagli altri, sentendoli un po’ noi, percependoli vicini, altri se stessi vicini, vicendevoli noi, invece impariamo a difenderci da tutti, a delimitarci il territorio, perimetrandoci in trincee ci delimitiamo e ci difendiamo e ci attacchiamo da noi stessi.
Cosi descritto sembrerebbe non esistere e non esserci il paradigma buono cattivo, bene e male, ma il male che temiamo dagli altri, è impensabilmente imperante in ognuno di noi, ogni sofferenza covata, inferta o subita, fa temere l’ impensabile, ha le sue ripercussioni che hanno radici in ognuno.
Ogni scelta che operiamo, definisce un confine tra noi e gli altri. È la scelta che crea la frattura che ci rende liberi, tanto vicini, così come atrocemente distanti e dissimili. Almeno chi sceglie interroga il suo numero uno, interpella se e la sua primitiva sensibilità.
La gioia ci unisce, ci aggrega, il piacere ci attrae, il godere ci seduce, la sofferenza temuta invece, inflitta o subita, disgrega, ci lancia in un effetto remball, essa è un jamping verso il vuoto, ci permette di sfuggirci.
La positività slancia il nostro umore in uno slancio fuori cielo, è un distacco oltre le piane dimensioni, il suo potere attrattivo è calamitoso, contaminante ed associativo.
Oltre alla capacità di scelta, che destabilizza le relazioni umani ma possiede tutta una sua dignità, il giudicare invece rappresenta il disgregante per eccellente, rappresenta la presa della distanza e del distacco e la repulsione da ciò che ci è simile.
Ogni persona giudicata diviene severa con se stessa e intransigente con gli altri.
Un giudice per sua natura è colui che è già stato giudicato, ed un giudicato giudicherà negli altri il giudizio subito . Diveniamo degli autentici replicanti generazionali di giudizi automatici fuori luogo, impariamo a prendere le distanze attraverso un atteggiamento altamente involontario.
Il giudizio ci fa resistere agli altri e ci direziona gli altri contro. Si è sulle difensive perché col giudizio ci si sente sotto inchiesta, e agire e pensare si rende complicato, lascia presagire l’ impotenza, l’autostima piega il capo, appare il difetto che non c’era, il giudizio fa errare è ci fa sentire errati, goffi e sbagliati, inadeguati, insoluti, in ginocchio e ripiegati su noi stessi, arrabbiati, frustrati, impulsivi, in debito e in difetto verso la vita.
Il giudizio reprime, è oscurantismo e decadentismo, fa paura, ci spaventa, inorridisce e ci imbruttisce, fa cartoccio e arrosto di noi stessi, ci raggomitola allo stato uterino, è il fomentatore delle ansie e delle incertezze, è l’inibitore e il frenatore di qualsivoglia iniziativa, è il precursore dell’ arretratezza, dell’ esitante e del perfezionismo.
Se c’è un’ origine per la cattiveria, essa risiede nella tendenza persecutoria a giudicare.
Il giudizio è la causa del male sociale se esso diviene pressante e onnipresente, se rappresenta un modello automatico educativo, esso imposta lo stile impedito della relazione.
Il giudicare ha un effetto distruttivo sulle scienze, sulla propria coscienza, sulle prospettive, sul proprio talento e sulla propria salute, genera il distacco e l’indifferenza verso la sofferenza e la morte di chi ne è l’ artefice. Il giudicare interpella il numero due, pende dalle sue labbra, fa appello sempre agli altri.
Se il giudicare è l’origine del male e della malattia, il rispetto per la sensibilità, per le scelte, i sentimenti e le intelligenze altrui, rappresentano e permettono di ritrovare l’attrazione e la piacevolezza verso l’umanità e verso le relazioni.
giorgio burdi
ContinuaDECIDERE
DECIDERE
la nevrosi del perfezionismo
Nei suoi continui rimuginamenti, l’uomo si chiede dove abbiano origine le sue paure, che gli impediscono di procedere.
Noi diremmo che l’ origine è la paura di definirsi: il protagonista, nell’eventualità di essere giudicato negativamente, si sottrae, con la rinuncia ad agire, a quella prospettiva intollerabile di essere giudicato. [Avverte la sensazione netta di essere sotto continua sorveglianza.]
L’uomo del sottosuolo argomenta che per cominciare ad agire bisognerebbe avere la certezza preventiva che non si affacceranno dubbi durante l’azione [che non diverrà soggetto di critica e di osservazione e che non fallirà. Perché non fallisca, si necrotizzerà in un perfezionismo senza fine.]
Chi ha bisogno dell’assoluta certezza per poter agire, [ o non agirà mai, rimanendo in una condizione di immobilismo monolitico con la conseguenza di non decidere mai, o si muoverà orientato dal solo perfezionismo. Sia il primo che il secondo atteggiamento sono depersonalizzanti perché il soggetto sta rispondendo ad altri non a se stesso, e questa ] è certamente una persona che non è mai stata amata.
Sappiamo bene come siano importanti le nostre prime vicende affettive: la sensazione di essere circondati d’amore e d’affetto è un’esperienza fondamentale, da cui scaturisce la forza operativa, la fiducia verso il mondo circostante.
Esporsi al rischio dell’amore, che è il rischio di affidarsi totalmente a un altro con la fiducia, e non già con la certezza che questi non approfitti della nostra vulnerabilità, sopportare la paura e l’ansia che l’altro non corrisponda al proprio bisogno d’amore, rappresenta già L’ autonomia, è vivere l’ambivalenza del sentimento, capire lo spessore duplice dell’uomo, connubio di luce e tenebra, di bene e male.
Se si riuscirà a elaborare tali vissuti, la contraddittorietà stessa dell’esistenza non condurrà allora all’inerzia paralizzante, ma al segreto stesso del mutevole gioco della vita. A tutto ciò conduce la forza dell’Eros, come scrive Cantoni:
Esiste una comunione emozionale, una partecipazione affettiva agli uomini, alla natura, agli animali, che la conoscenza razionale troppo spesso svaluta.
L’Eros non è meno universale e trascendentale del Logos, gli è complementare. È un errore credere che l’emozione sia puramente soggettiva, mentre il pensiero sarebbe obiettivo.
Un errore credere che il soggetto conoscitivo venga a contatto con l’essere solo per tramite intellettivo e rimanga nel suo universo soggettivo solo con l’emozione.
Esiste, come aveva intuito Pascal, [ un universo una città della luce dentro ognuno di noi, in ] un conoscere emozionale (1948, 93).
aldo carotenuto
giorgio burdi
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