La Regia
LA REGIA
IL MITO DELLA CAVERNA
Alcuni anni fa, Philip K. Dick scrisse: “la realtà è ciò che non scompare anche se smetti di crederci”. Ma come possiamo essere sicuri che ciò che osserviamo sia la realtà? Dopotutto, gran parte di ciò che sperimentiamo è il prodotto della nostra percezione ed è mediato dalle nostre esperienze interne.
Circa 2.400 anni fa, Platone propose lo stesso dilemma e cercò di spiegarlo attraverso il mito della caverna, Platone-Repubblica, 514 a-517 a (parla Socrate in prima persona, il suo interlocutore è Glaucone): un gruppo di uomini condannati alla nascita a rimanere incatenati nelle profondità di una grotta. Non riuscirono mai ad uscire da essa, e neppure ebbero la capacità di guardare al passato e capire l’origine delle catene o vedere cosa succedeva dietro di loro, fuori dalla caverna. guardavano solo le pareti della caverna. Ogni tanto, davanti all’ingresso della caverna passavano altre persone e animali. Gli uomini incatenati potevano solo vedere le loro ombre e sentire gli echi, che venivano proiettati sulle pareti della caverna. I prigionieri percepivano queste ombre e gli davano dei nomi, credendo di percepire cose reali, poiché non erano consapevoli che si trattava solo di proiezioni della realtà. Tuttavia, un bel giorno, uno dei prigionieri viene liberato. Questi esce alla luce, ma il sole lo acceca, scopre che tutto ciò che lo circonda è caotico dal momento che non riesce a dargli un significato. Quando gli spiegano che le cose che vede sono reali e che le ombre sono solo riflessi, non può crederci. Finalmente si adatta e decide di tornare alla caverna per raccontare al resto dei prigionieri la sua fantastica scoperta.
In un certo senso, una parte di noi sono quei prigionieri incatenati nella caverna. Una parte di noi si sente a proprio agio con gli stereotipi e le credenze familiari, con tradizioni che ci fanno sentire al sicuro. Quando vediamo un raggio di luce che ci costringe ad analizzare queste cose da un’altra prospettiva, abbiamo paura e possiamo comportarci come i prigionieri, negando la nuova realtà.
Tuttavia, abituato alla luce del sole, i suoi occhi hanno ora difficoltà a distinguere le ombre nel buio, così il resto degli uomini incatenati credono che il viaggio all’esterno lo abbia reso stupido e cieco. Pertanto, non gli credono e si oppongono ad essere liberati, ricorrendo anche alla violenza.
È vero che i cambiamenti di paradigma possono generare paura, perché ci tolgono i parametri di riferimento facendoci mettere in discussione alcune delle credenze che abbiamo sempre considerato verità assolute, ma se desideriamo veramente crescere, non dobbiamo afferrarci a nessun modo assoluto di vedere il mondo, dobbiamo aprirci al flusso di idee e prospettive nuove.
Liberarsi dalle catene, quando queste continuano a tenere legati gli altri, è di solito un processo emotivamente complesso. Non è facile ribellarsi quando c’è una dinamica sociale consolidata di cui facciamo parte da molto tempo.
Alan Watts disse che: “la maggioranza delle persone non solo si sentono a proprio agio con la loro ignoranza, ma sono ostili a chiunque gliela faccia notare”. È la stessa idea che Platone ha cercato di trasmettere con il suo mito, infatti, non dobbiamo dimenticare che alcune delle sue idee sono state considerate troppo pericolose per lo status quo dell’epoca e gli causarono più di un problema.
A volte trascuriamo questo dettaglio, quindi cerchiamo di illuminare le persone con la nostra conoscenza, ma quelle persone non sono pronte ad assimilare la nuova prospettiva. Le porte della mente non si possono spalancare entrambe in un attimo quando sono rimaste chiuse per un lungo periodo di tempo, perché potremmo persino esporci a una reazione violenta. La soluzione non è arrendersi, ma aprire gradualmente dei piccoli varchi.
Platone-Repubblica, 514 a-517 a (parla Socrate in prima persona, il suo interlocutore è Glaucone):
(…) In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini.
-Vedo, rispose.
-mmagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.
– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.
– Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?
– E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita?
– E per gli oggetti trasportati non è lo stesso?
– Sicuramente.
– Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?
– Per forza.
– E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?
– Io no, per Zeus! rispose.
– Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali.
– Per forza, ammise.
– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso?
– Certo, rispose.
– E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati?
– È così, rispose.
– Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lì a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere.
– Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso.
– Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole.
– Come no?
– Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria.
– Per forza, disse.
– Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.
– È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí.
– E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro?
– Certo.
– Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e più rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo?
– Così penso anch’io, rispose; accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo.
– Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole?
– Sì, certo, rispose.
– E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo?
– Certamente, rispose. […]
(Platone, Opere, vol. II)
Ho trovato queste parole di una straordinaria efficacia e, soprattutto, di una straordinaria attualità, eppure appartengono a millenni fa!
Leggendole mi è parso semplice fare una riflessione.
Vi sono comportamenti che sovente ripetiamo, quasi sempre inconsciamente, nel tempo e che paradossalmente hanno quale unico scopo quello di replicare, come in un’opera teatrale vista e rivista mille volte, come <<disco rotto>>, con una pervicacia cronica situazioni, dinamiche e circostanze che spesso conducono all’unico risultato di produrre sofferenza, un serial killer nascosto dentro di noi che dirige la regia di un film il cui epilogo è sempre lo stesso: il nostro massacro.
La domanda che ci si pone per avere risposta al perché di una tale condizione non arriva e solo apparentemente continuiamo a porci seriamente. Eppure, situazioni similari continuano a riproporsi nella nostra vita.
Tutto questo fino a quando persino la sofferenza ha toccato il fondo e ci costringe a fermarci ed a soffermarci sull’unica verità che conti: che siamo proprio noi a custodire quella risposta, anzi, e per meglio dire, a nasconderla per paura di guardare in faccia la vera fonte di tanto dolore.
Chi si nasconde veramente dietro le persone a cui noi consentiamo di farci del male persino quando loro non lo vogliono o non se ne rendono conto o sono semplicemente se stesse nella loro incommensurabile ma inconsapevole sciatteria e pochezza umana ma che senza rendersene conto hanno intercettato il nostro tallone di Achille andando a toccare quella piaga che per ragioni inspiegabili non si è mai rimarginata?
E’ questo il momento in cui siamo scoperti, siamo in trincea, ma soldati nudi, senza armi, senza elmetto, chiaro bersaglio del nostro nemico interiore, privi di comando, pronti solo a morire. Il re è nudo!
Al cospetto di una simile, terrificante, immagine di sé c’è solo una soluzione, credetemi non ve ne sono altre! Occorre fermarsi interiormente, conquistare il proprio tempo e cominciare lo scavo.
Iniziare a scavare è solo l’inizio di un viaggio nelle tenebre più profonde del proprio essere dove tante immagini si aggirano confuse, mostruose e minacciose, rese tali anche e soprattutto dalla nostra mancanza di volontà nel volerle riconoscere, identificarle, dare loro un nome e cognome, affrontarle, materializzarle.
Ma tu sei forte, fortissimo e scavi e scavi, con le mani, nude anch’esse, che si distruggono a sangue, ti fermi, respiri, ti arrendi ma qualcosa ti dice che vuoi guardare in faccia il tuo mostro, i tuoi mostri. Hai paura, tanta, sudi per la fatica dello scavo, per la paura dell’ignoto che ti aspetta, per le conseguenze di questa decisione che ti cambierà la vita ma non sai in che modo, bene, male, peggio! Chissà! In cuor tuo sai che le conseguenze di questa decisione saranno epiche e difficili da gestire e la domanda inconfessata: <<ne sarò capace?>>; <<sarò capace e forte abbastanza per affrontare i conflitti che ne seguiranno>>; <<saprò difendermi>>, <<in fondo subire è meglio che affrontare la battaglia!>> A volte, troppo spesso, non voler sapere è meglio perché ci sottrae alla guerra, al conflitto ed alla scoperta di ciò che siamo, dei nostri limiti: <<ce la farò ad affrontare la guerra?>> ed intimamente ti dici: <<no!, non ce la farò>>. E lo scavo si arresta. Questa è la vera sconfitta. E le repliche si ripetono, il <<disco rotto>> ricomincia e tu senti che stai scoppiando, nella tua vita nulla va per il verso giusto, sei avvilito, affranto, sconfitto, appunto! Ma in mezzo a questo mare in tempesta l’istinto di sopravvivenza ti riporta a prendere respiro e ci riprovi, questa volta con più determinazione e decidi di prendere il toro per i coglioni!
La conclusione di questa ricerca non è tanto ciò che trovi ma il non demordere mai dalla ricerca e, soprattutto, nell’individuare il <<disco rotto>> e fare appello a tutte le tue energie per interrompere quella musica che non sopporti più, come in un film dell’orrore perché il vero obiettivo diventerà riconoscere quel disco rotto ogni volta che si ripresenterà. A quel punto, forse, e dico forse, non ti interesserà più avere l’identikit che ti causa malessere, che ti costringe a subire ciò che ti schiaccia quanto cambiare musica ascoltandone una nuova, quella della tua bellezza interiore, nella Libertà e nella Luce del tuo Essere!
Non potrai dire ancora di avere vinto perché quello sforzo dovrà essere rinnovato ogni volta che quel meccanismo si ripresenterà ma avrai scoperto qualcosa di fondamentale: di avere la forza per affrontare il mostro che si nasconde dentro di te perché ciò che ci circonda non è bello o brutto in sé ma il modo in cui noi lo vediamo e lo affrontiamo.
“Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce”
– Platone –
Laura C.
ContinuaLa Sindrome di Stoccolma
Quando la vittima diventa complice: analisi della sindrome di Stoccolma
La sindrome di Stoccolma è una reazione psicologica che si verifica quando una persona viene tenuta prigioniera. In questa situazione, la vittima sviluppa una connessione emotiva con il rapitore e può anche iniziare a provare simpatia nei suoi confronti.
Oltre alla situazione originale di rapimento, la sindrome di Stoccolma può manifestarsi in altri tipi di traumi in cui c’è un legame tra l’aggressore e la persona abusata.
Molti professionisti della salute mentale considerano questi sentimenti positivi un meccanismo di adattamento che usa per sopravvivere a lunghi periodi di abuso o trauma.
Come ha preso il nome la sindrome di Stoccolma?
Questa sindrome prende il nome dall’incidente di una rapina in banca avvenuta nel 1973 a Stoccolma, in Svezia. Durante i sei giorni di stallo con la polizia, molti impiegati della banca presi in ostaggio svilupparono una simpatia nei confronti dei loro rapitori.
Dopo essere stati liberati, alcuni di loro si rifiutarono di testimoniare contro i rapinatori in tribunale e persino raccolsero fondi per la loro difesa.
Un criminologo e psichiatra che ha studiato questo evento ha coniato il termine “sindrome di Stoccolma” per descrivere il sentimento di affinità che alcuni ostaggi sviluppano verso i loro rapitori.
Sintomi e cause
La sindrome di Stoccolma è una reazione psicologica a un evento traumatico in cui una persona sviluppa una connessione emotiva con il suo aggressore. I sintomi possono includere:
Ci sono diverse teorie sulla causa della sindrome di Stoccolma, ma in generale si crede che sia il risultato di un meccanismo di difesa psicologico utilizzato dalle vittime per sopravvivere a un evento traumatico.
Questo meccanismo di difesa può essere potenziato da vari fattori, come la durata del periodo di ostaggio, l’isolamento sociale, la minaccia alla sicurezza fisica e il controllo coercitivo esercitato dall’aggressore.
In generale, la sindrome di Stoccolma si verifica più comunemente in situazioni di prigionia, sequestro, rapimento o violenza domestica, ma può anche verificarsi in altre forme di abuso emotivo o fisico.
Gestione e trattamento
La sindrome di Stoccolma può avere un impatto significativo sulla vita delle persone che ne soffrono. Poiché questa condizione può portare ad affinità e sentimenti positivi verso i rapitori o gli aggressori, può essere difficile per la persona affetta riconoscere la pericolosità del loro aggressore e allontanarsi dalla situazione abusiva.
Ciò può portare a un pericolo fisico e psicologico a lungo termine per la persona coinvolta.
Inoltre, la sindrome di Stoccolma può causare sintomi simili a quelli del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), come flashback, ansia, irritabilità e difficoltà a concentrarsi, che possono influenzare negativamente la qualità della vita.
Le persone con sindrome di Stoccolma possono anche sviluppare sentimenti negativi nei confronti delle figure autoritarie, come la polizia, il che può causare problemi nelle relazioni sociali e lavorative.
Tuttavia, con il trattamento adeguato, la sindrome di Stoccolma può essere gestita e gli effetti a lungo termine possono essere ridotti.
La sindrome di Stoccolma può essere trattata da un professionista della salute mentale attraverso diverse opzioni di trattamento.
Una di queste opzioni è la psicoterapia, che può aiutare a esplorare i pensieri e i sentimenti legati alla situazione traumatica e sviluppare strategie per affrontare gli effetti a lungo termine della sindrome di Stoccolma. In alcuni casi, i farmaci possono essere utili per gestire i sintomi associati alla sindrome di Stoccolma, come la depressione, l’ansia e l’insonnia.
In generale, la gestione e il trattamento della sindrome di Stoccolma dipendono dalla gravità dei sintomi e dalla situazione specifica in cui la persona si trova.
Valentina Cicerone.
Tirocinante di psicologia.
presso Studio Burdi
La porno dipendenza
La visione di contenuti sessualmente espliciti o pornografia è diventata sempre più comune.
Tuttavia, molte persone non prevedono o si aspettano che l’uso della pornografia influenzerà negativamente le loro vite.
In particolare, il rapporto di coppia può essere influenzato negativamente dalla pornografia.
Sebbene alcune ricerche suggeriscano che l’uso della pornografia in coppia possa avere risultati positivi, come la volontà di provare nuovi comportamenti sessuali o una maggiore intimità sessuale, altre ricerche hanno scoperto molti più potenziali impatti negativi.
Questi impatti negativi possono includere problemi di comunicazione, insoddisfazione sessuale, infedeltà emotiva, ridotta fiducia e problemi di autostima.
Se una relazione è stata ferita dalla pornografia, ci sono passi che possono essere presi per guarire la relazione.
Questi passi possono includere la comunicazione aperta e onesta tra i partner, la ricerca di aiuto professionale come la terapia di coppia e l’impegno a lavorare insieme per superare le conseguenze negative dell’uso della pornografia.
Impatti negativi
La pornografia può avere conseguenze negative sia per l’utente che per il suo partner intimo. I possibili effetti dannosi per l’utente possono includere la dipendenza, l’isolamento, l’aumento dell’aggressività, le convinzioni e le percezioni distorte sulle relazioni e sulla sessualità, i sentimenti negativi su se stessi e la trascuratezza di altre aree della loro vita.
Questi effetti possono anche influenzare negativamente i rapporti familiari e di coppia.
Nel contesto delle relazioni intime di coppia, la pornografia può avere impatti negativi, tra cui:
- La difficoltà dell’utente ad eccitarsi sessualmente senza pornografia.
- La riduzione del numero di esperienze sessuali con il partner.
- L’aumento dei comportamenti di infedeltà.
- La sensazione di minaccia sessuale del partner.
- Il giudizio su alcune attività sessuali desiderate dall’utente.
- La minore soddisfazione sessuale e la vicinanza emotiva.
- La diminuzione della fiducia nella relazione.
- La minore stabilità della relazione.
- La comunicazione meno positiva e la maggiore aggressività psicologica tra i partner.
- La preoccupazione per l’esposizione dei bambini al materiale pornografico.
Passi per la guarigione di una relazione ferita dalla pornografia
Guarire una relazione ferita dalla pornografia può essere un processo lungo e complesso, ma ci sono passi che le coppie possono seguire per iniziare il percorso di guarigione.
In primo luogo, è importante che entrambi i partner siano disposti ad affrontare il problema e ad impegnarsi nella riparazione della relazione. Ciò richiede onestà e apertura nella comunicazione, così come la volontà di ascoltare l’altro senza giudicare.
In secondo luogo, è necessario identificare il ruolo che la pornografia ha avuto nella relazione, comprese le conseguenze che ha avuto su entrambi i partner. Questo può essere doloroso, ma è importante per una comprensione completa della situazione.
In terzo luogo, le coppie possono cercare l’aiuto di un terapeuta specializzato in questioni relative alla pornografia e alla sessualità.
Un terapeuta può aiutare a sviluppare un piano di guarigione personalizzato, che può includere la costruzione di una relazione più intima e significativa, la riscoperta di interessi comuni e attività condivise e la creazione di nuove routine intime.
Infine, è importante continuare a lavorare sulla relazione e sulla comunicazione, anche dopo aver fatto progressi significativi.
La guarigione richiede tempo, impegno e pazienza, ma può portare a una relazione più forte e soddisfacente.
Potenziali effetti positivi dell’utilizzo della pornografia in coppia
È importante sottolineare che l’utilizzo della pornografia in coppia può anche avere effetti positivi sulla relazione.
Quando entrambi i partner sono aperti e consenzienti nell’utilizzo della pornografia, può fungere da una fonte di ispirazione per esplorare nuove fantasie e desideri sessuali insieme.
Inoltre, l’utilizzo della pornografia può aiutare a migliorare la comunicazione sessuale all’interno della coppia, aprendo la discussione su ciò che piace e ciò che non piace.
In alcuni casi, l’utilizzo della pornografia può anche aumentare la complicità e l’intimità emotiva all’interno della coppia, creando uno spazio sicuro in cui entrambi i partner si sentono liberi di esplorare la loro sessualità.
Tuttavia, è importante che l’uso della pornografia in coppia sia sempre consensuale e rispettoso dei desideri e dei limiti di entrambi i partner.
Conclusioni
In conclusione, la pornografia può avere un impatto significativo sulle relazioni intime e può portare a sentimenti di distanza, mancanza di fiducia e disagio.
Tuttavia, con la giusta attenzione e impegno, è possibile guarire una relazione ferita dalla pornografia.
È importante che entrambi i partner siano disposti ad affrontare il problema insieme, comunicare apertamente e cercare l’aiuto di un professionista se necessario.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia preso
Studio BURDI
Il Feticismo del Piede
Il feticismo del piede è un tipico interesse sessuale che coinvolge l’ attenzione e l’attrazione per i piedi. Le persone che hanno questa preferenza possono sentirsi eccitate guardando i piedi, le dita dei piedi e le caviglie. Tuttavia, la specificità di questo tipo di feticismo può variare da individuo a individuo.
Possono trovare attraenti i piedi decorati con unghie dipinte, gioielli o altri ornamenti, mentre altre possono trovare eccitante il massaggio o l’adorazione dei piedi.
Quanto è comune?
Il feticismo del piede è un tipo di preferenza sessuale che viene comunemente discusso e compreso rispetto ad altri tipi di feticci. Infatti, viene considerato un nodo sessuale tradizionale. Uno studio ha rivelato che i feticci legati alle parti del corpo umano sono tra i più diffusi, e tra questi, il feticismo del piede, o podofilia, rappresenta quasi il 50% delle preferenze.
Perché questa attrazione sessuale per i piedi?
Proprio come con le preferenze di abbigliamento o gli stili musicali, i nodi sessuali variano da persona a persona. Per chi ha un feticismo del piede, questa parte del corpo può essere estremamente eccitante.
Ma cosa c’è di tanto attraente nei piedi?
Molti esperti hanno offerto alcune teorie per spiegare questa attrazione. Una delle ragioni potrebbe essere biologica: i piedi sono ricchi di terminazioni nervose, il che significa che toccarli, massaggiarli o solleticarli può essere molto piacevole.
Inoltre, alcune persone potrebbero trovare il gioco dei piedi come un’esperienza intima e sensuale. Allo stesso tempo, per altri, il feticismo del piede potrebbe avere un aspetto psicologico.
I piedi sono spesso considerati come una parte “umile” del corpo, e questo può creare una dinamica di potere in cui la sottomissione e l’umiliazione possono essere vissute come estremamente eccitanti.
tipi comuni di feticismo dei piedi
Il feticismo dei piedi è una forma comune di feticismo sessuale e può manifestarsi in molti modi diversi:
Il feticcio dei piedi in una relazione
Il feticcio dei piedi è un interesse sessuale comune tra molte persone, ma ancora spesso considerato tabù dalla società.
Molte persone si vergognano di avere questo feticcio, ma in realtà non c’è nulla di cui sentirsi in colpa. È importante sottolineare che il feticcio dei piedi non è una patologia, né un disturbo mentale, ma un’attrazione sessuale che può essere completamente sana e normale.
Tuttavia, quando si tratta di introdurre questo interesse all’interno di una relazione, può essere difficile per molte persone trovare il coraggio di parlare apertamente del proprio desiderio.
Come con qualsiasi altra fantasia sessuale, è fondamentale discutere in modo aperto e onesto e trovare un compromesso che funzioni per entrambi.
In conclusione, il feticcio dei piedi è un interesse sessuale comune e normale che non dovrebbe essere fonte di vergogna o giudizio. Con una comunicazione aperta e rispettosa all’interno di una relazione, può essere un modo divertente e soddisfacente per esplorare la propria sessualità.
Cosa fare se il feticismo diventa un problema?
Il feticismo diventa un problema quando diventa una fonte di stress, ansia o interferisce con la vita quotidiana della persona. Ciò può accadere se il feticismo diventa un’ossessione che domina la vita della persona e interferisce con le sue relazioni interpersonali, il lavoro e le attività quotidiane.
Inoltre, se la persona non riesce a controllare il proprio comportamento feticista o se il feticismo causa angoscia o disagio psicologico, può essere utile cercare aiuto professionale.
In generale, il feticismo non rappresenta un rischio per la salute mentale, e può essere considerato come una forma di piacere, intimità e gioco tra partner consenzienti.
Tuttavia, in alcuni casi, il soggetto può provare sentimenti contrastanti riguardo alla propria deviazione psicologica, e desiderare di eliminarla. In questi casi, la psicoterapia può essere un’opzione interessante per analizzare il passato, il presente, la personalità e le relazioni dell’individuo.
Inoltre, per coloro che provano tali sentimenti contrastanti, è possibile cercare ausilio esterno per migliorare la relazione sentimentale e l’intimità con il proprio partner.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso lo
Studio BURDI
Disforia di genere: quando l’identità non corrisponde al corpo
Cos’è la disforia di genere?
La disforia di genere è una condizione in cui si sperimenta un conflitto tra il proprio sesso assegnato alla nascita e il genere con cui ci si identifica. Questa situazione può causare un grande disagio e far sentire a disagio la persona nel proprio corpo.
Le persone che vivono la disforia di genere potrebbero sentirsi inclini a esprimere il proprio genere in modo diverso da quello imposto dalla società. Questo potrebbe significare adottare un abbigliamento differente, utilizzare i pronomi e frequentare i bagni pubblici associati al proprio genere preferito, sottoporsi ad interventi medici o chirurgici specifici, o una combinazione di queste opzioni.
La disforia di genere non è una malattia mentale, ma alcune persone possono sviluppare problemi di salute mentale a causa della disforia di genere.
Segni di disforia di genere
La disforia di genere può manifestarsi in segni visibili nell’aspetto, nel comportamento o negli interessi delle persone che ne soffrono.
Inoltre, coloro che sperimentano la disforia di genere possono mostrare segni di disagio o di angoscia, come bassa autostima, ritirarsi o isolarsi socialmente, depressione o ansia, correre rischi inutili o trascurare il proprio benessere personale.
I sintomi della disforia di genere possono variare da persona a persona, ma in generale, possono essere divisi in due categorie principali: sintomi psicologici e sintomi fisici.
I sintomi psicologici possono includere:
- Una forte e persistente sensazione di disagio o sconforto legato al proprio sesso biologico assegnato alla nascita.
- Sentirsi disconnessi o estranei dal proprio corpo o dal proprio genere.
- Un forte desiderio di esprimersi come il genere opposto a quello assegnato alla nascita.
- Sentirsi ansiosi, depressi o emotivamente instabili a causa della propria identità di genere.
- Ritirarsi o isolarsi socialmente per paura di essere giudicati o non accettati.
I sintomi fisici possono includere:
- La volontà di modificare il proprio aspetto fisico per adattarlo al genere con cui si identificano. Ciò può includere la ricerca di interventi chirurgici, ormonali o altri metodi per modificare le caratteristiche sessuali primarie o secondarie.
- L’utilizzo di abiti o accessori che riflettono il genere opposto a quello assegnato alla nascita.
- L’evitare di mostrare parti del corpo che sono associati al genere assegnato alla nascita (ad esempio, i pettorali per una persona assegnata come maschio alla nascita).
È importante sottolineare che non tutte le persone con disforia di genere sperimentano tutti questi sintomi e che la gravità dei sintomi può variare da leggera a grave. Inoltre, questi sintomi possono presentarsi in qualsiasi momento della vita, ma spesso iniziano a manifestarsi in età precoce.
Cosa causa la disforia di genere?
Non si conosce ancora con precisione la causa esatta della disforia di genere.
Lo sviluppo del genere umano è un processo complesso e ci sono ancora molte cose che non sono completamente note o comprese.
Inoltre, è importante sottolineare che la disforia di genere non è correlata all’orientamento sessuale. Le persone che ne soffrono possono identificarsi come eterosessuali, omosessuali, bisessuali o di qualsiasi altro orientamento sessuale.
Trattamento
Il trattamento della disforia di genere dipende dalle esigenze e dalle preferenze individuali della persona che ne soffre. Alcune persone scelgono di non cercare alcun tipo di trattamento, mentre altre possono optare per un approccio medico, psicologico o una combinazione di entrambi.
Il trattamento medico può includere la terapia ormonale, che prevede l’utilizzo di ormoni per alterare le caratteristiche sessuali primarie e secondarie del corpo. In alcuni casi, possono essere prescritti farmaci per sopprimere le caratteristiche sessuali primarie o secondarie indesiderate.
La terapia chirurgica può anche essere un’opzione per alcune persone che desiderano modificare le loro caratteristiche sessuali primarie, come ad esempio la mastectomia per le donne transessuali o la chirurgia di ricostruzione del seno per gli uomini transessuali.
Oltre alla terapia medica, la terapia psicologica può essere utilizzata per aiutare le persone a gestire i sintomi della disforia di genere e ad affrontare le sfide che possono incontrare nella loro vita quotidiana. La terapia può includere la terapia cognitivo-comportamentale, la terapia di sostegno e la terapia familiare.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia preso
Studio BURDI
Appunti Per Amarsi
“Abbiate il cuore vicino e i battiti lontani”
(Tonino Bello)
Mio padre ha sempre vantato una sicura discendenza dagli svevi, la dimostrava non solo nei capelli rossi della famiglia, ma, anche da un generico carattere istintivo e inquieto. Così, quando alle medie, incrociai sui libri, Federico II, re fulvo e testardo, iniziai a crederci anch’io e a definirmi in un lignaggio, mai verificato, ma, che alla fine mi tornava utile, visto che giustificava alcuni tuoi battiti affrettati e incerti.
So che mi credi, quando ti dico che avrei voluto una mia storia, forse un po’ più lineare e che mi sento inutile, nei mille tentativi di ritracciamento di rotta. Scrivo a te, per questo; per un’incomprensione lontanissima e inguaribile, e che ci ha visti compagni, nel tentativo di voler dare nome vero, a chi insieme, abbiamo tentato d’amare.
Dovresti conoscere quella strana dinamica che porta volti carissimi e preziosi a divenire, d’un tratto, anonimi e distanti. Sai spiegarmi come succede? Qual è l’attimo preciso in cui ogni attesa scivola in un luogo che non conosciamo e disincanta ogni emozione buona? Lo devi sapere, per forza, perché gli stessi battiti che ci dichiarano amanti agli altri, sono gli stessi che, negli addii, ci smarriscono sui sentieri di chi vorremmo rincorrere e fermare.
Dare e avere, avere e dare. Ritorni che dovrebbero essere semplici e invece, tutto assomiglia, sempre più, ad un bilancio impari, quasi fallimentare, dove quello che si è impegnato o si è dato, è sempre eccedente rispetto all’incassato. Un calcolo, così avvilente, che alla fine, viene ribassata anche la moneta di scambio e l’incontro diventa chiamata, la chiamata, messaggio, il messaggio, un like, un like, per buona pace di tutti, un generico astratto pensiero. Fine delle trasmissioni.
Dare e avere. Ricordi? Al liceo, rincorremmo due autobus, perché l’amata di allora non era scesa alla fermata fissata. Perdemmo la serata a rifarci i percorsi, per scoprire, alla fine, che non era mai salita su nessuno dei tram. Il programma era cambiato, ma non ci aveva avvisato. Eppure il dare e avere si scontorna, incredibilmente, su queste traiettorie: c’è uno che dà e trova nel suo cuore risorse e forze continue e c’è un altro destinato a ricevere. Ammesso che non le scansi…
Lo scarto tra innamoramento e amore si gioca qua: quando l’altro declina sé stesso, verso la reciprocità. Se non ci fosse questa, ogni rapporto potrebbe diventare un’emorragia mortale. Scrivo a te, per un’incomprensione che non siamo riusciti mai a sanare. Semmai, invidiosi di altri che riuscirono nell’impresa e noi già stancati da tentativi e sogni insonni di intere mezze estati: “Perfino quando la scelta è concorde, la guerra, la morte, la malattia assediano l’amore lo rendono momentaneo come un suono, furtivo come un’ombra…” dice Shakespeare.
So che la stanchezza ha una lingua sveglia e ci si convince facilmente di essere stanchi per rincorrere, per spiegare, per scusare, stanchi di trovare voce e giustificazioni ai silenzi degli altri. Stanchi non della loro indifferenza, ma, peggio, della loro superficialità. Non sempre sono amori non ricambiati, anche normali amicizie o rapporti troppo carichi di aspettative. Aspettative…sembra uno sbaglio anche l’uso di questo sostantivo, perché seppur il linguaggio degli amanti, per dirla alla Barthes, risieda nell’attesa, essa non si dischiude a noi, come vorremmo. Forse perché immaginiamo che l’altro ci debba un’ala, per volare.
Qualche volta ti scuoto, quasi fossi un antico orologio a corda e temo che qualcosa si sia rotto; il tanto dato ha allentato i giri delle molle e la lancetta dei minuti è rassegnata a non coprire più, con esattezza, i segni del tempo. Nella stessa misura, i miei pensieri non coincidono, esattamente, con chi inseguo. So che è cosa normale, ma, perché, poi, i giorni dell’avvicinamento e dell’addio hanno lo stesso sapore dolceagro e solo i pianti della notte ne segnano la differenza?
Così, stanco di questi soliloqui e assenze, ho imparato a cercare te.
Lontano da ogni volto, da ogni nome, da ogni desiderio, parlo a te, quasi io fossi un reduce che scopre quanto è importante vivere, nel malandato tragitto verso casa. Ora, vorrei convincerti e dirti che non abbiamo sbagliato nulla; che ogni battito dato non è andato perso, se è servito a capire non tanto la gente, quanto noi stessi. Oltre quei momenti la nostalgia sembrava andare nella direzione opposta alla volontà. Traditi da chiunque. Lasciati a recitare parole che nessuno poi, ha sentito, se non io e te; discorsi lunghissimi che riprendevano fiato in una canzone. In un film. In una foto, a tratti, sempre più sfuocata ed estranea. Seduti a maledire quella mela che resterà a metà! A grattarne via i semi, magari tornasse utile alla fame dei rimorsi. Almeno a quella.
“Tέτλαθι δή, κραδίη” “Sopporta, cuore!”. Ulisse si faceva forza con questo detto, consapevole che, alla fine della sua Odissea solo la propria personale pazienza si sarebbe opposta al destino voluto dagli dei. Diversi ellenisti hanno fatto tradotto il verbo principale non con sopporta, ma, con: compi fino in fondo, realizzati pienamente.
Scrivo a te, mentre tra le mani sembra ci sia poco. Vorrei riportarti a istanti in cui tutto sapeva di una felicità, senza scadenze. La vita si esprime in una lingua che traduciamo piano. Vorrei amare te (amare me), prima di cercare altre mani; prima di abbracciare più forte quelli a cui dimostro poco affetto. Sopporta, o meglio, realizzati! In fondo, siamo sulla strada buona se non siam restati a richiedere, ciò che non c’è stato dato indietro. Se sei diventato grande, mentre ti scartavano, perché giudicato insufficiente. Se davanti alle cattiverie, ti son rimasti propositi di nobiltà.
Se non ti sei arreso. Ed oggi è facile, perché perfino gli sguardi e le intese si son fatte fragilissime. Le risposte a questo le avrà il cervello. Noi possiamo opporre resistenza, cercando ancora Bellezza. Non altrove, ma, prima, dentro di noi.
Poi, semmai, ci avvicinerà un altro cuore e insieme sapremo che potremo chiamarlo amore.
Luca Anaclerio
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ContinuaDipendenza dalla Cannabis: Effetti sulla Salute
Con l’aumento dell’uso di cannabis tra gli adolescenti e gli adulti, è cruciale esaminare gli effetti che questa sostanza può comportare sulla salute.
Cos’è la cannabis?
La cannabis è una pianta psicoattiva originaria dell’Asia centrale e meridionale, la cui popolarità è cresciuta enormemente negli ultimi decenni, sia a scopo terapeutico che ricreativo. La sostanza attiva della cannabis, il THC, è nota per i suoi effetti psicoattivi che possono produrre una sensazione di rilassamento ed euforia.
Tuttavia, l’uso eccessivo di cannabis può avere un impatto significativo sulla salute mentale e fisica dell’individuo. In questo articolo, esploreremo gli effetti che l’uso della cannabis ha sulla mente e sul corpo, analizzando sia i potenziali benefici che i rischi associati a questa sostanza stupefacente.
In che modo la cannabis influisce sulla tua mente e sul tuo corpo?
La cannabis può avere effetti positivi e negativi sulla salute mentale e fisica. Può ridurre il dolore e l’infiammazione e aiutare in alcune convulsioni, ma può anche causare ansia, depressione e paranoia.
La cannabis può influire sulla memoria, sull’apprendimento e sulla capacità di svolgere compiti complicati. Il principale cannabinoide psicoattivo della pianta, il THC, può influenzare l’umore e la percezione sensoriale.
L’uso eccessivo di cannabis può aumentare il rischio di cancro, di infarto e di problemi al sistema respiratorio e cardiovascolare. Inoltre, può ridurre la fertilità maschile e femminile.
È importante considerare questi rischi prima di utilizzare la cannabis e fare attenzione al suo utilizzo.
Ecco un elenco degli effetti collaterali dell’uso di cannabis:
- Secchezza delle fauci: la cannabis può ridurre la produzione di saliva, causando una sensazione di secchezza delle fauci.
- Rosso degli occhi: la cannabis può dilatare i vasi sanguigni, anche quelli negli occhi, causando una sensazione di arrossamento.
- Ansia: alcune persone possono provare ansia dopo aver consumato cannabis, specialmente se la dose è elevata.
- Paranoia: l’uso eccessivo di cannabis può causare paranoia, un disturbo caratterizzato da pensieri eccessivamente negativi o irrazionali.
- Allucinazioni: alcune persone possono sperimentare allucinazioni dopo aver consumato cannabis. Questo effetto è più comune nei consumatori abituali o in quelli che utilizzano cannabis ad alta concentrazione.
- Diminuzione della coordinazione e della capacità di concentrazione: la cannabis può influire sulla capacità di coordinazione e di concentrazione.
- Aumento dell’appetito: la cannabis può aumentare l’appetito, causando una maggiore voglia di cibo.
- Sonnolenza: la cannabis può causare sonnolenza o stanchezza, specialmente se assunta in dosi elevate o prima di coricarsi.
- Dipendenza psicologica e fisica: l’uso eccessivo o abituale di cannabis può causare dipendenza psicologica e fisica. La dipendenza psicologica si verifica quando una persona non può immaginare la vita senza cannabis, mentre la dipendenza fisica si verifica quando una persona sperimenta sintomi di astinenza quando cerca di smettere di usare cannabis.
- Disturbi del sonno: l’uso di cannabis può disturbare il ciclo del sonno, causando problemi di sonno come difficoltà ad addormentarsi o svegliarsi frequentemente durante la notte.
- Disturbi fisici: l’uso di cannabis può causare disturbi fisici come mal di testa, vertigini, nausea, vomito e aumento della frequenza cardiaca.
- Depressione: alcune persone possono sperimentare sintomi di depressione dopo aver consumato cannabis, specialmente se sono già predisposte alla malattia.
Impatto sulla vita sociale
La dipendenza dalla cannabis può avere un forte impatto sulla vita sociale e relazionale di una persona. L’uso eccessivo di questa sostanza può portare a problemi comportamentali, emotivi e cognitivi che possono influenzare negativamente le relazioni personali, sociali e professionali.
In particolare, l’isolamento sociale può essere una conseguenza comune dell’uso eccessivo di cannabis, poiché le persone tendono a preferire il consumo di sostanze da sole, piuttosto che partecipare ad attività sociali e relazionali.
Inoltre, l’acquisto di cannabis può diventare costoso, causando problemi finanziari come mancanza di denaro per le necessità quotidiane o debiti.
L’uso eccessivo di cannabis può anche influire negativamente sulle prestazioni lavorative e scolastiche, poiché può causare difficoltà nel svolgimento di compiti complessi e una diminuzione della capacità di pensare in modo razionale e chiaro.
L’abuso di cannabis può anche aumentare il rischio di sviluppare problemi di salute mentale, come ansia e depressione, che possono influenzare negativamente la vita sociale e relazionale, conducendo All’ isolamento.
Infine, l’uso di cannabis è illegale in molti paesi, pertanto chi ne fa uso possono può incorrere in problemi legali, come arresti e condanne penali.
La cannabis può creare dipendenza
La cannabis è una droga molto diffusa, anche se viene spesso considerata leggera, di fatto non lo è per i suoi effetti nocivi e di dipendenza. Questa dipendenza può essere sia psicologica che fisica.
La dipendenza psicologica si verifica quando una persona non può immaginare la propria vita senza cannabis, mentre la dipendenza fisica si verifica quando una persona sperimenta sintomi di astinenza quando cerca di smettere di usare cannabis.
I sintomi di astinenza possono essere irritabilità, insonnia, sudorazione eccessiva e perdita di appetito. Inoltre, la dipendenza dalla cannabis può avere un impatto negativo sulla salute mentale e sul benessere generale dell’individuo, causando ansia, depressione e paranoie.
Se si sospetta di avere una dipendenza da cannabis, è importante cercare aiuto professionale. La dipendenza psicologica può essere difficile da superare da soli. Cercare il supporto di amici e familiari può aiutare, ma spesso è necessario rivolgersi a un professionista per ricevere il sostegno adeguato.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia preso
Studio BURDI
Eccessi di shopping: quando l’acquisto diventa una dipendenza
Cos’è lo shopping compulsivo?
Lo shopping compulsivo, o dipendenza dallo shopping, è un disturbo caratterizzato da un’eccessiva tendenza all’acquisto, che può influenzare negativamente la qualità della vita di una persona.
Mentre alcune persone con questa condizione sviluppano una preferenza per determinati prodotti, come orologi o cibo, altri comprano in modo compulsivo senza restrizioni.
In ogni caso, il disturbo dell’acquisto compulsivo può avere effetti negativi sulle finanze personali e sulle relazioni sociali.
Pur non essendo ufficialmente riconosciuto dal DSM, il disturbo da acquisto compulsivo è considerato un problema legittimo dai professionisti della salute mentale. Questa condizione può avere un impatto duraturo sugli individui e sui loro cari, e le opzioni di trattamento sono simili a quelle per altre dipendenze comportamentali.
Segni distintivi della spesa compulsiva
Ecco alcuni possibili segni distintivi della spesa compulsiva:
- Acquisti impulsivi e irrazionali: la persona che soffre di spesa compulsiva può fare acquisti senza una reale necessità o senza considerare le conseguenze finanziarie.
- Preoccupazione eccessiva per lo shopping: chi soffre di spesa compulsiva può passare molto tempo a pensare al prossimo acquisto o a pianificare i propri acquisti.
- Sensazione di sollievo temporaneo: l’acquisto può portare una sensazione di sollievo temporaneo, ma che viene seguita da una sensazione di colpa o di rimorso.
- Difficoltà a resistere all’impulso di acquistare: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere difficoltà a resistere all’impulso di acquistare, anche se non ci sono soldi sufficienti o se l’acquisto non è necessario.
- Acquisti ripetitivi o ossessivi: la persona che soffre di spesa compulsiva può acquistare lo stesso prodotto in modo ripetitivo o ossessivo, o può avere un’ossessione per determinati negozi o marche.
- Nascondere o mentire sui propri acquisti: chi soffre di spesa compulsiva può nascondere gli acquisti ai propri cari o mentire sui costi reali degli acquisti.
- Utilizzo di carte di credito o prestiti: la persona che soffre di spesa compulsiva può utilizzare carte di credito o chiedere prestiti per finanziare gli acquisti, anche se non ci sono i soldi per pagarli.
- Sensazione di perdita di controllo: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere la sensazione di perdere il controllo sulla propria vita e sui propri acquisti.
- Problemi finanziari o debiti: la spesa compulsiva può portare a gravi problemi finanziari, come indebitamento e difficoltà a pagare le proprie bollette o le proprie spese quotidiane.
Fattori di rischio
Ci sono diversi fattori di rischio che possono contribuire allo sviluppo di uno shopping compulsivo:
- Ansia e depressione: le persone con disturbi d’ansia o depressione possono utilizzare lo shopping come mezzo per alleviare i loro sintomi.
- Bassa autostima: le persone con bassa autostima possono cercare di aumentare il loro senso di autostima attraverso l’acquisto di beni materiali.
- Storia di abuso: le persone che hanno subito abusi fisici, sessuali o emotivi possono utilizzare lo shopping come mezzo di fuga o di conforto.
- Storia familiare: le persone che hanno familiari con problemi di dipendenza, tra cui dipendenza dallo shopping, possono essere più inclini a sviluppare lo stesso comportamento.
- Problemi finanziari: le persone che si trovano in difficoltà finanziarie possono utilizzare lo shopping come mezzo per affrontare lo stress e la tensione.
- Pressione sociale: la pressione dei social media e della società in generale per avere e mostrare beni di consumo costosi può portare alcune persone a sviluppare comportamenti di acquisto compulsivo.
- Accesso facile al credito: la disponibilità di carte di credito con limiti di credito elevati può facilitare l’acquisto di beni anche quando non si dispone di denaro sufficiente per farlo.
Come fermare lo shopping compulsivo
Fermare lo shopping compulsivo può essere una sfida, ma ci sono alcune strategie che possono aiutare a gestire questa dipendenza:
- Identificare le emozioni negative che scatenano lo shopping compulsivo: l’ansia, la depressione, la noia o la solitudine possono essere alla radice dello shopping compulsivo. Identificare queste emozioni e trovare modi alternativi per gestirle può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
- Creare un budget e rispettarlo: è importante stabilire un limite di spesa realistico e rispettarlo. Evitare di utilizzare le carte di credito e optare per metodi di pagamento alternativi, come il contante o le carte prepagate.
- Fare una lista della spesa e rispettarla: prima di fare acquisti, fare una lista dettagliata degli articoli necessari e rispettarla. Evitare di acquistare oggetti impulsivamente che non sono nella lista.
- Evitare di frequentare luoghi di shopping: evitare di frequentare centri commerciali e negozi può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
- Chiedere aiuto: il supporto di amici e familiari può essere utile per affrontare lo shopping compulsivo. Inoltre, rivolgersi a uno psicologo specializzato in dipendenze può aiutare ad affrontare e gestire la dipendenza.
Ricorda che fermare lo shopping compulsivo richiede tempo e impegno, ma è possibile gestirlo e superarlo con le giuste strategie e il supporto adeguato.
Quando cercare un aiuto professionale
Le dipendenze comportamentali possono essere fonte di vergogna e disagio per molte persone, il che può renderle riluttanti a cercare aiuto.
Tuttavia, se stai lottando per controllare il tuo comportamento di shopping compulsivo e senti che sta influenzando la tua vita quotidiana, potrebbe essere il momento di considerare la possibilità di cercare aiuto professionale.
Inizia cercando un terapeuta specializzato nel trattamento delle dipendenze comportamentali.
Molte di queste persone utilizzano tecniche terapeutiche cognitive e comportamentali per aiutare i clienti a identificare i fattori scatenanti che portano al comportamento di shopping compulsivo e implementare strategie di coping alternative.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso
Studio BURDI
Shopping Compulsivo
Quando l’acquisto diventa una dipendenza
Cos’è lo shopping compulsivo?
Lo shopping compulsivo, o dipendenza dallo shopping, è un disturbo caratterizzato da un’eccessiva tendenza all’acquisto, che può influenzare negativamente la qualità della vita di una persona.
Mentre alcune persone con questa condizione sviluppano una preferenza per determinati prodotti, come orologi o cibo, altri comprano in modo compulsivo senza restrizioni.
In ogni caso, il disturbo dell’acquisto compulsivo può avere effetti negativi sulle finanze personali e sulle relazioni sociali.
Pur non essendo ufficialmente riconosciuto dal DSM, il disturbo da acquisto compulsivo è considerato un problema legittimo dai professionisti della salute mentale. Questa condizione può avere un impatto duraturo sugli individui e sui loro cari, e le opzioni di trattamento sono simili a quelle per altre dipendenze comportamentali.
Segni distintivi della spesa compulsiva
Ecco alcuni possibili segni distintivi della spesa compulsiva:
1. Acquisti impulsivi e irrazionali: la persona che soffre di spesa compulsiva può fare acquisti senza una reale necessità o senza considerare le conseguenze finanziarie.
2. Preoccupazione eccessiva per lo shopping: chi soffre di spesa compulsiva può passare molto tempo a pensare al prossimo acquisto o a pianificare i propri acquisti.
3. Sensazione di sollievo temporaneo: l’acquisto può portare una sensazione di sollievo temporaneo, ma che viene seguita da una sensazione di colpa o di rimorso.
4. Difficoltà a resistere all’impulso di acquistare: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere difficoltà a resistere all’impulso di acquistare, anche se non ci sono soldi sufficienti o se l’acquisto non è necessario.
5. Acquisti ripetitivi o ossessivi: la persona che soffre di spesa compulsiva può acquistare lo stesso prodotto in modo ripetitivo o ossessivo, o può avere un’ossessione per determinati negozi o marche.
6. Nascondere o mentire sui propri acquisti: chi soffre di spesa compulsiva può nascondere gli acquisti ai propri cari o mentire sui costi reali degli acquisti.
7. Utilizzo di carte di credito o prestiti: la persona che soffre di spesa compulsiva può utilizzare carte di credito o chiedere prestiti per finanziare gli acquisti, anche se non ci sono i soldi per pagarli.
8. Sensazione di perdita di controllo: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere la sensazione di perdere il controllo sulla propria vita e sui propri acquisti.
9. Problemi finanziari o debiti: la spesa compulsiva può portare a gravi problemi finanziari, come indebitamento e difficoltà a pagare le proprie bollette o le proprie spese quotidiane.
Fattori di rischio
Ci sono diversi fattori di rischio che possono contribuire allo sviluppo di uno shopping compulsivo:
10. Ansia e depressione: le persone con disturbi d’ansia o depressione possono utilizzare lo shopping come mezzo per alleviare i loro sintomi.
11. Bassa autostima: le persone con bassa autostima possono cercare di aumentare il loro senso di autostima attraverso l’acquisto di beni materiali.
12. Storia di abuso: le persone che hanno subito abusi fisici, sessuali o emotivi possono utilizzare lo shopping come mezzo di fuga o di conforto.
13. Storia familiare: le persone che hanno familiari con problemi di dipendenza, tra cui dipendenza dallo shopping, possono essere più inclini a sviluppare lo stesso comportamento.
14. Problemi finanziari: le persone che si trovano in difficoltà finanziarie possono utilizzare lo shopping come mezzo per affrontare lo stress e la tensione.
15. Pressione sociale: la pressione dei social media e della società in generale per avere e mostrare beni di consumo costosi può portare alcune persone a sviluppare comportamenti di acquisto compulsivo.
16. Accesso facile al credito: la disponibilità di carte di credito con limiti di credito elevati può facilitare l’acquisto di beni anche quando non si dispone di denaro sufficiente per farlo.
Come fermare lo shopping compulsivo
Fermare lo shopping compulsivo può essere una sfida, ma ci sono alcune strategie che possono aiutare a gestire questa dipendenza:
17. Identificare le emozioni negative che scatenano lo shopping compulsivo: l’ansia, la depressione, la noia o la solitudine possono essere alla radice dello shopping compulsivo. Identificare queste emozioni e trovare modi alternativi per gestirle può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
18. Creare un budget e rispettarlo: è importante stabilire un limite di spesa realistico e rispettarlo. Evitare di utilizzare le carte di credito e optare per metodi di pagamento alternativi, come il contante o le carte prepagate.
19. Fare una lista della spesa e rispettarla: prima di fare acquisti, fare una lista dettagliata degli articoli necessari e rispettarla. Evitare di acquistare oggetti impulsivamente che non sono nella lista.
20. Evitare di frequentare luoghi di shopping: evitare di frequentare centri commerciali e negozi può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
21. Chiedere aiuto: il supporto di amici e familiari può essere utile per affrontare lo shopping compulsivo. Inoltre, rivolgersi a uno psicologo specializzato in dipendenze può aiutare ad affrontare e gestire la dipendenza.
Ricorda che fermare lo shopping compulsivo richiede tempo e impegno, ma è possibile gestirlo e superarlo con le giuste strategie e il supporto adeguato.
Quando cercare un aiuto professionale
Le dipendenze comportamentali possono essere fonte di vergogna e disagio per molte persone, il che può renderle riluttanti a cercare aiuto.
Tuttavia, se stai lottando per controllare il tuo comportamento di shopping compulsivo e senti che sta influenzando la tua vita quotidiana, potrebbe essere il momento di considerare la possibilità di cercare aiuto professionale.
Inizia cercando un terapeuta specializzato nel trattamento delle dipendenze comportamentali.
Molte di queste persone utilizzano tecniche terapeutiche cognitive e comportamentali per aiutare i clienti a identificare i fattori scatenanti che portano al comportamento di shopping compulsivo e implementare strategie di coping alternative.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso Studio Burdi