
La Simbiosi
LA RELAZIONE SIMBIOTICA GENITORE FIGLIO
La simbiosi in psicologia identifica un rapporto di stretta dipendenza fisica e psicologica tra due individui.
La relazione simbiotica tra genitore e figlio, è in partenza una relazione che implica risorse impari, il cui instaurarsi può costituire una forte limitazione per lo sviluppo psicologico e per il percorso verso la realizzazione di sé del figlio, dall’infanzia fino all’età adulta.
D’altro canto il genitore simbiotico, spesso disinvestito dal rapporto col partner (l’altro genitore) vede e vive il proprio figlio come un’estensione di sé, fonte di riscatto da mancate realizzazioni e veicolo quasi scontato di gratificazione delle proprie aspettative e proiezioni.
In questo senso la relazione simbiotica con il genitore si profila come una relazione di potere, oltre che di mutua dipendenza, che per certi versi potrebbe essere assimilata ad una sorta di “incesto affettivo” in cui vi è un abusato e un abusante.
Essa può comportare infatti la parziale o la totale perdita di autonomia, del senso di identità profondo, del contatto con i propri desideri del figlio, poiché i desideri dell’uno e dell’altro si confondono, in un intreccio in cui i desideri di colui che ha un apparato psichico più sviluppato, prevalgono.
Il figlio coinvolto nella relazione simbiotica cresce e si sviluppa con una sorta di seconda coscienza, la cui voce si affianca e a volte si sostituisce alla propria, una voce da cui ricerca il consenso e senza il cui consenso prova senso di colpa e rabbia…alle cui richieste e alle cui intrusioni non sa dire di no, perché quel no è il tradimento di un patto di sangue…
Una seconda coscienza che non è la sua, ma che vede e sente tutto ciò che egli fa, che egli pensa, anche l’indicibile…che giudica e commenta, da cui non può sfuggire, non può nascondersi, perché questa è nel contempo sostegno e pegno. Affettuosa e spietata.
Il figlio simbiotico è spesso nostalgico e melanconico, accompagnato permanentemente da una sorta di tristezza abbandonica per quel distacco dal ventre materno/paterno che in realtà non è mai stato realizzato e che è paventato ogni qualvolta la vita richiede un atto di indipendenza, ma anche ogni qualvoltasi instaurano o si prospettano nuove relazioni che hanno bisogno di nutrimento e che richiedono l’uscita da quella posizione simbiotica, confortevole, ma anche condanna all’immobilità e alla rinuncia ad una vita originale autonoma e indipendente.
Sciogliere la relazione simbiotica comporta certamente la rottura di un equilibrio che necessita di essere gradualmente ripristinato.
Il figlio emancipato dalla relazione simbiotica puo’ iniziare a riscoprire e a riconoscere il gusto di un dialogo interiore puro con la propria coscienza, iniziare a fare scelte libere, liberate dallo sguardo e dalla voce dell’altro, liberate anche dalla paura della separazione dal genitore, con cui può, attraverso un opportuno accompagnamento, ristabilire una relazione diversa, alla pari, una relazione finalmente da “adulto”.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia
presso Studio Burdi

Le Due Facce Della Medaglia
- LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA
Nelle vite di ognuno di noi è sicuramente capitato di ritrovarci in situazioni che compromettono il nostro buon umore, che siano problemi d’amore, perdite di persone care, provare solitudine o ambiguità quando si è all’interno di un gruppo di persone, problemi nel relazionarsi con gli altri, introversione, vergogna di sé stessi e così via. Ciò che bisogna capire è che qualsiasi cosa accada, essa ha un lato negativo ma anche (e soprattutto) positivo.
Di fronte a circostanze quali quelle elencate precedentemente il sentimento predominante è l’infelicità, un sentimento alquanto spiacevole da provare, ma non se si impara a gestirlo propriamente. Attraversare un momento triste, infatti, è il più efficace metodo di crescita che l’uomo possa avere a sua disposizione, solo se si sa girare la medaglia dall’altro lato. E per imparare a farlo bisogna scontrarsi con un nemico crudele e invisibile agli occhi: noi stessi. Si può capire in qualche modo come scoprire questa parte inconscia? Assolutamente sì.
Ognuno di noi ha un’identità, seppure non chiara e ben definita, a cui corrisponde un’altra esattamente contraria alla nostra o, in parole più spicciole, quella parte che non ritroviamo nella nostra identità perché non ci piace o perché estranea ad essa. Solitamente ci se ne accorge quando si ha a che fare con persone molto diverse da noi, ma il nostro obbiettivo è creare quella sorta di persona dentro noi stessi che corrisponda all’esatto opposto dei nostri gusti, del nostro comportamento, del nostro stile, cosicché si possano mettere più realtà a confronto. Tuttavia è corretto esplicitare anche quella parte che potrebbe risultare “maligna” o “tossica”, che è però da utilizzare solo a confronto con i suoi e mai da sola.
Dunque c’è bisogno prima di tutto di creare questo opposto, successivamente conoscerlo e infine saperlo sfruttare al meglio.Alcuni esempi possono rendere meglio l’idea di quanto affermato precedentemente.Di fronte alla rottura di una relazione amorosa, non bisogna dare spazio solo alla sofferenza, bensì anche a quella parte di noi stessi che ci sussurra che i vincoli comportati dalla precedente situazione sono sciolti, oppure, se la relazione è terminata, si può finalmente dire di aver messo un punto a tutti i disguidi e litigi che hanno portato alla rottura. E il tutto può essere migliorato ulteriormente dalla visione dell’amore non come unica ragione di vita ma come la più importante tra le relazioni sociali che si ha, senza escludere le altre meno importanti.
Nel caso di un lutto, la tristezza è imminente. Non sarà così intensa se non si vede il lutto come una perdita ma come un “passaggio” di valori e insegnamenti che il caro ha lasciato e fare in modo che diventino parte di noi, contrariamente a quando probabilmente, durante la vita, venivano ignorati o considerati di poco conto; una sorta di convivenza delle nostre voci interiori con la voce del caro, facendola parlare come se fosse accanto a noi in ogni momento ed esserne felici del ricordo, non tristi per la perdita.
È corretto parlare anche della vergogna di fare ciò che si desidera o ciò che ci piace. Partendo dal presupposto che molte delle persone che passeggiano casualmente non proveranno nessun particolare interesse nei confronti di altri passanti, dobbiamo sentirci più a nostro agio con l’ambiente che ci circonda. Non piacciamo a qualcuno? Per il semplice fatto che non ci adeguiamo alla massa? Adesso, parlando nello specifico di te, lettore, se ritieni di essere diverso da tutti, non pensi sia meglio? Non sarebbe così noioso essere uguale a tutti in comportamento, pensiero ed estetica? E ancora, tu lettore, ti sentiresti meglio ad esprimere te stesso appieno o a nascondere te stesso in quella grande categoria che non fa altro che adeguarsi?
Sono più che sicuro che la risposta è arrivata impulsivamente, da quel che si potrebbe definire “numero 1” della nostra persona, ovvero quel segmento di noi stessi che ci da risposte a situazioni senza analizzarle dal punto di vista razionale.
Qui la seconda faccia della medaglia si può facilmente riassumere con il detto “come ci sarà qualcuno a cui non piace quello che fai, ci sarà anche chi ti adorerà per quello che sei” -e aggiungo- “che ti supporterà per far si che ciò che ti piace si realizzi”. Sta solo a noi la scelta di aprirci affinché arrivi questo cambiamento, nessuno girerà la medaglia al nostro posto. E la vita è troppo breve per non essere vissuta da tutti i lati che ci permette di analizzare.
davide
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Credere in Se
CREDERE IN SE
Quando avevo 6 anni, avevo già deciso che da grande avrei fatto l’archeologa e che mi sarei laureata a 24 anni e poi a lavorare.
A 14 anni, avevo già deciso che sarei andata in Cina e che avrei imparato questa lingua.
Perché la Cina? Perché è lontano da tutti e perché è diversa, ma soprattutto li, posso contare solo su me stessa.
E’ andando in Cina che sono il più cresciuta: il primo viaggio da sola, iscritta all’università cinese (quasi) da sola, dovevo incontrare gente diversa per non stare da sola in un paese cosi lontano da tutto e da tutti quelli che conosco. Incontrare gente nuova.
Contare solo sulle mie forze, la mia determinazione e la mia volontà. Sono la sola della famiglia a sapere parlare, leggere e scrivere in cinese.
Ho tre lauree specialistiche: una in archeologia cinese (con un soggetto di tesi molto originale e di cui ero la prima in Europa a discutere di questo soggetto: la via dell’anima nelle tombe reali e principesche della dinastia dei Ming); una laurea sull’insegnamento del cinese per stranieri (con tesi sul fumetto cinese) e un’altra laurea sull’insegnamento del francese per stranieri (con tesi sulla scrittura creativa e la doppia identità linguistica degli studenti cinesi). La prima laurea mi è piaciuta tantissimo e sono andata in Cina a fare ricerca sul terreno, con una piccola borsa di studio per la mia ricerca: pieni voti, tutto ottenuto da sola.
La seconda e la terza laurea: ho odiato farlo perché l’ho fatto per trovare lavoro e mentre lavoravo. Università e lavoro e famiglia: ero diventato un robot. Forte, inarrestabile. Fino a cadere. In depressione perché non era quello che volevo fare.
Volevo andare in Cina a studiare bene la lingua e la cultura cinese, forse integrando davvero un’università, come studente e non più come insegnante. Mi piaceva molto insegnare la letteratura francese all’università. Ma mi piacerebbe di più fare un dottorato in archeologia cinese.
Ora non ci posso più andare, perché la Cina è chiusa. Perché mi sono chiusa in Cina. Perché ho odiato studiare il cinese durante la mia seconda laurea. E soprattutto: avevo smesso di credere in me.
Ora, ho deciso di credere di nuovo in me stessa.
Ripasso per la sesta volta l’HSK 6? Ci riprovo. Non più per averlo e basta, ma per me, perché ora che ho iniziato a studiare di nuovo il cinese con piacere, mi diverto e ho voglia di ritentarlo. Durante la scuola obbligatoria e alcuni anni universitari, non sono mai stata bocciata ma ogni anno ho rischiato di esserlo. Perché non sono stata bocciata? Perché mi conoscevo abbastanza da sapere che se avessi ripetuto l’anno, non avrei ascoltato e avrei fatto altro.
A 6 anni, sapevo scrivere meglio in geroglifico che l’alfabeto.
A 16 anni, malgrado i miei gravissimi problemi di italiano, ho scritto delle poesie e ho pubblicato un libro e un lettore l’ho incontrato, per caso, in Cina e un altro romanzo è in preparazione (la bozza è in correzione).
Queste promesse le ho fatte prima a me e solo a me stessa.
IO nascerò per me sola ancora nascerò, alcun vento mi potrà più fare male, ormai affronto il mare… A che passo sono oggi? La conferma del vero me.
A tutti quelli che dicono « Non ce la farai mai” oppure che credono di sé di non essere abbastanza: piuttosto che guardare com’è bella, figa e soprattutto falsa la vita degli altri sui socia media, ed invidiarli: è meglio osservare e ricercare attentamente la causa scatenante dell’invidia e brama di ambizione scaturita dal “Perché lui/lei si’ e io no?” e cercare di imitare il loro percorso di riuscita e successo piuttosto che parlare bene e razzolare male e soprattutto sputare rabbia repressa di auto-commiserazione inutile e compiaciuto vittimismo.
Ricorda: C’è qualcuno che sa quanto vali, quanto sei grande e quel che è più importante: che ti ama molto moltissimo. Te stesso.
Amarsi è scegliere la vita che si desidera e le persone con il quale condividerla, è saper apprezzare la compagnia delle persone che riconoscono il proprio valore e con cui è piace
eva blasi
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Il Silenzio
IL SILENZIO
Il silenzio è tacere, rappresenta l’ assenza di rumori, la pausa fra le note, è la zona d’ombra, l’angolo oscuro, lì dove le immagini non arrivano. Diremmo che è un interruttore, è il poter spegnere, staccare la spina col mondo, con tutto, esso ci impone un incontro ed un ascolto profondo di noi, ci sbatte in faccia noi stessi, può essere accoglienza e quiete, compitezza e contemplazione, o preghiera e raccoglimento.
Il silenzio è il nulla, è il concepimento della vita che sembrerebbe nascere da quel nulla, è il contenimento in un utero materno, la gestazione che raccoglie, è la carezza sopra il ventre, il battito sotto il palmo, il movimento della vita sotto pelle, è il sospiro che contempla la nascita, il grembo che contiene l’ urlo della nascita, il respiro appena percepito, tutto accade nell’ estremo placido silenzio.
È il silenzio a partorire il gemito della vita. Nell’ ascolto, il silenzio fa’ da sfondo, permette di vedere le immagini, le parole, come il passare il gomito sull’alone del vapore di uno specchio, è come il tergi cristallo che spazza via la pioggia dei pensieri che si infilzano addosso come dei detriti; il silenzio è accoglienza, quando c’è la disponibilità a voler mettere il proprio tempo al primo posto, a non farsi ingannare e distogliere dalle interferenze indesiderate e dagli imprevisti.
È accoglienza perché è un abbraccio con sé stessi e mette le mani avanti al mondo; il silenzio è quiete, quando lascia la mano a tutto ciò che è tensione fuori, quando molla con tutte le pressioni, diventa contemplazione e preghiera se cerca di tuffarsi nella propria vita; il silenzio è contenimento di sé, se riesce a scollare di dosso tutte quelle placche di incrostazioni che non sono proprie.
Il silenzio è un rumore bianco che ti ovatta, appare come un vuoto privo di suoni che percepisci lontano, ti ritrovi in un nulla nel quale galleggiare, dove poter dire “io non centro nulla con loro, sono mio”.. immerso come in un fondale, in un deserto ricoperto di dune, nuotare e galleggiare a filo d’ acqua, volare in pieno cielo terso o nuvolo, è planare delicatamente verso il suolo, è il buio dello spazio, è la luce intorno al perimetro dei pianeti, il silenzio è un suono taciuto è quell’ istante prima di addormentarsi, il sonno nella notte.
Col silenzio si rinasce. L’ urlo della nascita irrompe ed infrange il silenzio della casa uterina, irrompe l’isolamento e la solitudine, catapulta nei rumori, nei suoni, sul palcoscenico della vita. Una vita deve essere fatta di parole, di chiasso, di frastuoni, di bla bla bla, di folle che parlano fuori e parlano dentro, di nevrosi e conflitti fuori e dentro di noi, e da un silenzio assoluto, da un vuoto del ventre, all’ ingresso nel caos.
È il silenzio che offre la dimensione e il senso al caos, permette di scegliere e selezionare ciò che è buono e crea il bene. La vita è un continuo sgomitare e farsi spazio a spintoni tra situazioni orride, vacue e sgradevoli, ci impone sempre di fare delle scelte, di circondarci di ciò che è bello, vero, del tesoro sul fondo profondo, rispetto a ciò che violi la nostra esistenza, la derubi o la imbratti, o la deturpi. La vita è una continua ricerca del bello ed una ricarica di significati, considerata la sua temporaneità, tale che se fosse eterna non li cercheremmo.
In questo segmento di tempo limitato, abbiamo l’ansia, di rendere la vita più serena e felice, di non sprecarla o riempirla di oggetti immondi o di persone futili, non c’è molto spazio in essa, per scontati limiti di tempo, se non per tutto ciò che è splendido, non c’è spazio per gli zirconi, strass in plastica, falsi luccicanti. Tutti abbiamo il diritto all’autentico, a tutto ciò che è prezioso.
Ma ci confondiamo, perché le persone non maliziose, credono a tutto, non hanno ambiguità, vedono il bene dappertutto, lì dove c’è anche il male, perché il bene è dentro di loro, non hanno occhiali se non quelli molto luminosi. E chi è molto luminoso, attrae i bui altrui, per farsi illuminare, attrae le notti degli altri e con le notti altrui non si deve affatto scherzare, sono intrise di trappole e pozzanghere che sono dei mari, appaiono ruscelli ma sono fogne che fanno molto rumore e lasciano i loro traumi.
Il silenzio nasce dall’ansia di fare pulizia, di essere più leggeri, di imparare a distinguere, gli angeli dai demoni, tutto ciò che è ambiguo, plagiato, contraffatto, fake, taroccato. Abbiamo bisogno di comprendere, fare chiarezza dentro di noi, selezionare uno ad uno, i sassi dalle pietre preziose. Il silenzio è fare deserto intorno a noi, è un ritorno, all’origine uterina, all’ essenziale, alla gioia di una nascita alla purezza, al non contaminato, alla solitudine di un Eden protetto, questa non va temuta, andrebbe ricercata, perché favorisce l’ordine cosmico dentro di noi, di disintossicarci, di respirare, di rintracciare cosa espellere.
Alle volte siamo vittime di un vortice, affogati dalla quotidianità, dalle sabbie mobili del materialismo, da oggetti accumulati, privi di senso, li rendiamo indispensabili, tutto diventa importante, dimenticando la vita. Nulla è per sempre, solo il viaggio ha la sua certezza, perché la meta è un grossissimo limite. Il segmento del viaggio ha un senso solo se vissuto intensamente e per bene. Recita un post: “ noi abbiamo due vite, la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una”. Tutto ciò che conquistiamo e abbiamo, non ha lo stesso valore del tempo che abbiamo, è in comodato d’ uso, come la vita, e il problema è, che è un comodato d’ uso affatto che gratuito.
Siamo utilizzatori di beni e di oggetti, ma ci identifichiamo con essi da renderci loro creatori e padroni, onnipotenti e onnipresenti, come fossero d’acciaio, ignorando la loro precarietà e la loro ruggine, il loro decadimento e la temporaneità. Il silenzio ci ricorda che il tempo che abbiamo va speso bene, con molta attenzione e moderazione, vicini a chi lo accoglie e non lo toglie, va vissuto come un viaggio, scegliendo attentamente con chi farlo.
Fortunatamente esistono i sogni, le fantasie, questi li incontri solo nella segretezza del tuo silenzio, nella chiusura del tuo scrigno, in quell’idea migliore di te, da realizzare. Il silenzio è l’incontro con casa nostra, esso è la prima casa dove trovare rifugio, è la nostra baita, la nostra patria, è l’ ardore di un caminetto, la passeggiata sul bagno asciuga.
È l’ incontro con le memorie del tuo sottosuolo, con i sotterranei della tua anima, con l’ indicibile, col tuo numero uno che non smette mai di parlarti, esso è l’ assoluto dell’ incontro con la tua umanità, l’incontro con il tuo nome, quel nome col quale nessun’ altro può confondersi. Ricordati sempre che hai un nome e con esso, nel mondo, ci sei solo tu. Nessuno può entrarci se tu non lo vuoi, sei la tua proprietà, difendila, non c’è parente, amore o amico o estraneo che possa violarla.
Il silenzio decide a chi chiudere o aprire la tua porta. Chi sei, puoi dirlo solo e attraverso il tuo silenzio.
giorgio burdi
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La favola del topolino esploratore e il coniglio del vuoto
La favola del
topolino esploratore e il coniglio del vuoto
C’era una volta un topolino bianco che aveva vissuto tutta la vita rinchiuso nella sua tana. Il topolino sognava di poter fuggire e diventare un esploratore e quando finalmente riuscì ad uscire egli era affamato di esperienze.
Passava di lì un coniglio blu che si mostrò subito disponibile a dargli una mano.
I due ebbero tante avventure insieme: viaggiavano per il mondo e quando vedevano qualcosa di interessante il topolino si inseriva nei pertugi più stretti per recuperare oggetti e leccornie per il suo nuovo amico.
Quando però capitava che il topolino non riuscisse a recuperare l’oggetto del desiderio del coniglio, questo si arrabbiava e metteva il broncio dicendo: “tu non sei un vero amico, non mi vuoi bene”.
Allora il topolino sentendosi in colpa si rimboccava le maniche e cercava di accontentare in eccesso il suo “amico”.
Così facendo però le richieste del conuglio divennero sempre più egoiste, non gli bastava più un seme, una bacca o una foglia particolare, voleva una carota intera, un cappello e una tana calda. Il pelo del topolino da candido divenne grigio e spento, l’entusiasmo e la gioia per essere finalmente uscito dalla tana iniziarono pian piano a svanire, vi si sostituì un vuoto in cui l’unica cosa che si scorgeva erano le catene che il coniglio aveva lì posto.
Il topolino voleva liberarsene ma allo stesso tempo non voleva perché non avrebbe avuto più nessuno a guardarlo come il coniglietto. Venne però il giorno in cui, rispecchiandosi in uno stagno, il topolino vide com’era diventato e come accanto a sé l’altro non c’era. Prese tutta la sua energia, spezzò le catene, lasciò un messaggio nella notte e sparì.
Vani furono i tentativi del coniglio di riappropriarsi del topolino, questo era ormai lontano, correva libero, candido, pronto a conoscere il mondo per davvero.
Domenico De Palma
[Il secondo racconto è ancora in fase di stesura, o meglio di esser vissuto]
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Mi Amo
Mi Amo
finalmente lo dico e lo penso: mi amo.
mi amo come non ho fatto mai.
mi amo senza pretendere che altri lo facciano per me.
mi amo quando sono forte, ma adesso finalmente mi amo anche quando non lo sono.
mi amo, o forse sto ancora imparando a farlo, anche senza supporto e approvazione. è una strada molto faticosa, a tratti dolorosa, ma ci sto riuscendo.
mi amo da quando ho capito che amore di sé non è egoismo.
mi amo quando abbandono il senso di colpa. mi amo quando mi ascolto, quando smetto di fare cose che non voglio fare e di stare in luoghi in cui non voglio stare.
mi amo quando smetto di compiacere gli altri, quando mi allontano da ciò che mi fa stare male.
mi amo quando non tollero la mancanza di rispetto. mi amo quando non cedo a ricatti emotivi, quando la violenza psicologica non ha più presa su di me.
mi amo perché non scendo più a compromessi con la mia libertà.
mi amo quando esprimo un disaccordo senza timore della reazione.
mi amo anche se quando ho cominciato a farlo diverse persone mi hanno lasciata per strada.
mi amo nella solitudine.
mi amo esattamente per come sono.
mi amo anche se non piaccio.
mi amo perché ho imparato a dare valore alle cose autentiche e a non dare per scontato nulla.
mi amo perché ho accettato di essere aiutata quando ne avevo bisogno.
mi amo perché ho imparato a conoscermi davvero.
mi amo perché lavoro ogni giorno per essere una persona migliore.
mi amo e avrei dovuto farlo da sempre.
marigrazia scalera
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Il Pregiudizio
IL PREGIUDIZIO
Il nostro sistema difensivo è concepito per attribuire maggiore rilevanza e focalizzare la nostra attenzione su quelle situazioni che potrebbero costituire una potenziale minaccia per la nostra sopravvivenza e incolumità.
Questo sistema di difesa, di derivazione ancestrale entra in gioconell’uomo moderno anche in quelle situazioni che pur non costituendo una minaccia per la vita, possono compromettere, in base al nostro sistema di attribuzione di valori, la nostra identità relazionale, sociale, affettiva.
In questo senso le risorse cognitive ed emotive vengono quindi completamente mobilitate dai seppur esigui fattori ritenuti negativi e distolte dalle più numerose componenti positive dell’esistenza.
L’estrema focalizzazione sugli elementi negativi, è all’origine diun errore cognitivo importante che si inserisce nella valutazione di sé stessi, della realtà e del mondo, che viene definito “negative bias” ovvero il “pregiudizio negativo”.
Sebbene tale pregiudizio sia originato dalla necessità di preservare l’incolumità dell’uomo, quando questo diventa prioritario e dominante in tutti gli aspetti della vita relazionale, professionale e psichica, esso finisce per costituire un nodo disfunzionale per l’esistenza che necessita di essere sciolto.
All’origine del “pregiudizio negativo” disfunzionale vi è la crescita e lo sviluppo dell’individuo all’interno di una realtà, familiare e sociale, in cui sussiste un sistema di attribuzione di valori e di significati alterato, seppur riconosciuto come valido a livello della comunità, grande o piccola che essa sia. All’interno di questo sistema di attribuzione non vengono riconosciute e valorizzate le risorse, le potenzialità, i desideri, le intuizionidell’individuo nella sua unicità, ma le sue potenziali inadeguatezze di fronte ad un mondo percepito tanto minaccioso,valutante e svalutante, quanto giusto, che richiede l’annichilimento di ogni vibrazione, di ogni battito d’ali e una totale uniformizzazione.
Basti pensare ai numerosi test di ammissione, ai test Q.I., ai test di personalità o alle numerose varie altre etichette che spesso per semplificare la realtà finiscono per ridurre l’essere umano nella sua incredibile complessità ed unicità ad un mero contenitore di informazioni, di saperi, di comportamenti da valutare.
In mancanza di consapevolezza, si finisce allora per delegare a qualcun altro il giudizio e l’approvazione dei propri desideri, delle proprie aspirazioni e di fatto l’anelito alla propria realizzazione e libertà.
Laddove l’ascolto delle voci esterne ha preso il posto dell’ascolto della propria voce interiore, del proprio intuito, dell’amore per sé stessi, diventa difficile se non impossibile saper riconoscere chi siamo veramente, qual è la verità di noi stessi, come entrare in sintonia con la vita, perché abbiamo perso la capacità di intenderela nostra musica.
Nella ricerca della libertà è allora importante imparare a riconoscere due voci controverse che convivono in noi, quella che corrisponde alla parte più vitale di noi, che sà di possedere le ali e di poter spiccare il volo, di essere fatta per questa vita, e quella che corrisponde alla parte più condizionata, frenata dalla paura di sbagliare e di essere annientata, quella che ci vuole convincere che l’unica realtà possibile sono le sabbie mobili dei giudizi e delle etichette.
Una voce che ci fa vedere la nostra bellezza, le nostre risorse e che ci fa desiderare di avere un ruolo attivo in una vita bella da vivere, anche con le sue sfide e difficoltà, dove non esiste giusto sbagliato, ma esiste l’ ”autentico”… e una voce che ci fa vivereattanagliati dal pregiudizio negativo, sempre pronta a fermare, atrattenere dal divenire uomini liberi, che senza neanche accorgercene finisce per farci preferire la sicurezza dell’essere schiavi all’incertezza della libertà.
Solo togliendo giorno dopo giorno il coperchio dalla nostra coscienza, è possibile identificare la voce nascosta condizionantee ridimensionarla, iniziando un percorso verso un’esistenza in cuile nostre scelte ed i nostri discernimenti siano effettuati in veralibertà, in cui sia possibile far crescere e prosperare le nostre componenti più vitali, in un loop virtuoso verso la realizzazione di una vita più autentica, fatta non di paure, ma di strategie di fronte alle difficoltà e di risorse, in cui miracolosamente il ritmoquotidiano monotono e angosciante può finalmente trasformarsinella sinfonia della vita che siamo chiamati a vivere.
Sintesi a cura di
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia
presso Studio Burdi
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Le Passioni
Le passioni
Le passioni sono elementi costitutivi della nostra personalità, poiché sono espressioni della propria individualità.
Le azioni che si fanno per passione danno gioia ed un’immensa soddisfazione.
Quando ci si dedica ad un’attività appassionante, il tempo e gli altri non esistono più: quel tempo è dedicato solo a sé stessi, alla propria creatività. Quelle passioni generano benessere, aumentano la propria autostima, non ci giudicano e ci regalano uno splendido sorriso luminoso. Sono il nostro battito animale.
Le passioni-distrazioni sono diverse, divergenti ed alienanti. Denotano una via di fuga, un attimo di quiete durante la tempesta delle preoccupazioni, per non prendere coscienza del problema. Tolgono l’attenzione, l’ostruzionismo di sé e dei propri bisogni repressi dal dovere e dl dare importanza prima agli altri che a sé stessi.
Queste appassionanti distrazioni rivelano l’oblio di sé stessi e del proprio bambino interiore, in una lenta eutanasia. Ancor più differenti sono le passioni-ossessioni, che divorano dall’interno: il piacere viene sopraffatto dall’ideale del piacere rafforzato dall’idea di dover fare questa attività per ottenere benessere.
Questa felicità illusoria e fugace è affamata di tempo ed energia, isola e rinchiude l’individuo in uno scrigno, come per proteggerlo in un mondo tutto suo.
Le passioni-distrazioni sono preoccupazioni.
Le passioni-ossessioni sono insoddisfazioni.
Queste passioni generano frustrazione, rabbia e rimpianti.
Le passioni-benessere derivano dal desiderio e conducono alla realizzazione di questo “motore”: ci permettono di sorpassarci, incrementano la curiosità e plasmano la realtà, migliorandola, come la desideriamo.
Avere passioni-benessere rivela il vero sé, spudorato, coraggioso, contro-corrente e senza compromessi. Sono le nostre passioni: risorse ed arricchimento del proprio universo interiore.
È il nostro battito animale, che prende e porta via con sé, quell’istinto naturale che c’è e batte nel nostro essere naturale, e che batte, batte, fino alla morte. Avere passioni è voler essere felici per sé stessi.
Eva BLASI
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IN FRANCESE
Les loisirs-passions
Les passions sont des éléments constitutifs de notre personnalité, puisqu’elles sont l’expression de notre propre individualité.
Les actions réalisées par passion donnent à l’être humain une immense joie et un sentiment de pleine réalisation et satisfaction. Quand on se dédie à une activité passionnante, le temps et les autres n’existent plus : ce temps est dédié seulement à soi-même, à sa propre créativité. Ces passions génèrent du bien-être, augmentent l’estime de soi, ne nous jugent pas et nous donnent un merveilleux sourire lumineux.
Les passions-distractions sont différentes, diverses et aliénantes. Elles sont le pâle reflet d’une sortie de secours, de fuite de soi, de calme avant la tempête des inquiétudes, pour ne pas prendre conscience de l’existence d’un problème et se voiler la face. Elles nous apportent une distraction légère et momentanée pour mieux cacher la misère de notre vide intérieur, l’oubli de soi-même, des propres besoins réprimés par le devoir et de donner la priorité d’abord aux autres puis à nous-mêmes. Ces passionnantes distractions révèlent la lente euthanasie en cours de notre enfant intérieur.
Les passions-obsessions, quant à elles, nous dévorent de l’intérieur : le plaisir est remplacé par l’idéal du plaisir renforcé par l’idée de devoir faire cette activité pour obtenir du bien-être. Cet éphémère bonheur illusoire est affamé de temps et énergie, il isole e retient prisonnier l’individu dans sa cage dorée, lui donnant l’impression de le protéger tant qu’il est dans sa propre bulle.
Les passions-distractions sont des préoccupations.
Les passions-obsessions sont des insatisfactions.
Ces passions génèrent frustration, colère et regrets.
Les passions bien-être tirent leurs origines du désir e conduisent à la réalisation de ce « moteur » intérieur à soi: elles nous permettent de nous surpasser, d’éveiller et aiguiser notre curiosité, pour façonner la réalité, telle que nous la désirons.
Avoir des passions bien-être révèlent notre vrai soi-même : hardi, courageux, audacieux, original et franc, sans compromis. Nos passions sont des ressources et un enrichissement de notre propre univers intérieur.
Avoir des passions, c’est vouloir d’abord être heureux pour soi-même.
Eva BLASI
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IN CINESE
爱好
爱好是个人的基础因为表是个人的乐趣。
你做爱好的事儿给你最大的乐趣与得意:那个时候,人与时间不存在。 这个时间只是为你自己, 给你创作经验。 这样的爱好让你提高你自己的相信, 不批评你, 给我们一个笑得合不拢嘴。
消遣的爱好表示一个心理的跳跑, 为了看不见问题的原因,为了我看不见你自己不接触没达到的希望, 要做的事儿, 别人比你更好,别人比你跟重要。
而且, 顽念的爱好吃你自己的心里与心理里面:乐趣变了一个理想, 吃你的时间与力气, 隔离你在自己里面的世界。
消遣的爱好是担心。
顽念的爱好是不满意的感觉。
这样的爱好的结果是受挫, 愤怒, 后悔。
乐趣的爱好是从心里希望来的, 让你的实现起出希望。
爱好是自己的愉快。
伊轩媖 Eva BLASI
Continua
Wu Wei
IL VALORE TERAPEUTICO DEL WU WEI E IL FLUSSO DELLA VITA e
La Teoria del Non Attaccamento
Il Wu Wei è un concetto al cuore della filosofia Taoista, utilizzato recentemente anche in alcuni approcci terapeutici (1).
Spesso tradotto come “non-agire”, esso descrive in realtà un principio di azione senza sforzo che richiede il non attaccamento al risultato dell’azione.
Si tratta dunque di un’azione mirata che si svolge in armonia con la realtà e che comporta lo sviluppo di particolari qualità interiori e una visione della vita fondata sulla fiducia, la lungimiranza e la consapevolezza profonda della causalità e della transitorietà degli eventi.
Il Wu Wei richiede la capacità di coltivare in sé la capacità di essere recettivi e disponibili alla realtà, di ampliare lo sguardo e affinare il proprio spirito di osservazione nella relazione con questa.
Ciò è reso possibile dalla capacità di mettere da parte, momento dopo momento, le aspettative e l’attaccamento emotivo ad un preciso risultato, per lasciare spazio alla realtà e a ciò che essa richiede negli eventi e nelle situazioni che si presentano.
Si tratta di percepire le opportunità e limitare la dispersione delle nostre energie, entrando in sintonia con la direzione del fiume della vita, in una prospettiva di fiducia che richiede una particolare relazione con il tempo, una sorta di senza tempo in cui tutto è possibile.
Sebbene apparentemente legato al concetto di “rinuncia” alle nostre aspettative, il Wu Wei ci proietta in realtà verso la dimensione di un risultato sicuro-certo, il migliore, che implica un’azione che opera di concerto con il flusso della vita.
Questo concetto filosofico è particolarmente utile nella relazione con la sofferenza psicologica.
Infatti laddove spesso l’ostacolo, il rifiuto, l’inadeguatezza che si sperimenta viene vissuto come qualcosa di immutabile, di irreversibile e permanente, immodificabile, il Wu Wei mette l’accento su un aspetto fondamentale della nostra esistenza, quello della transitorietà e mutabilità degli eventi, in cui grazie all’attesa sapiente, all’osservazione e quando opportuno, all’azione mirata, tutto può evolvere nella nostra realtà : ciò che non è qui in questo spazio e in questo momento della nostra vita può esserlo in un altro, quello giusto, se coltiviamo la fiducia e la consapevolezza. Anche i nostri desideri e le nostre aspettative possono evolvere se coltiviamo l’attenzione alla realtà e con questa stabiliamo una relazione di fiducia e reciproca costruttiva interazione.
Il concetto di fiducia nel corso della vita, è strettamente correlato alla dimensione del rapporto con noi stessi e alla relazione che abbiamo con il tempo.
Spesso infatti ci attacchiamo ad un risultato o ad un’aspettativa relazionale, perché abbiamo bisogno, il prima possibile, di conferme che possano liberarci dal lancinante dubbio che ci portiamo dietro sulla nostra inadeguatezza.
Ma più grande è questo desiderio di conferme, più grandi le schiavitù che ci costruiamo intorno.
Attendiamo che il risultato si manifesti esattamente nella direzione da cui ce lo attendiamo, quella in cui abbiamo maggiormente investito con sforzo ed impegno, attanagliati dalla paura che la risposta tanto attesa non arrivi o che quella mancata risposta, confermi definitivamente la nostra inadeguatezza.
Paradossalmente molto spesso più siamo schiavi di queste conferme più queste tardano ad arrivare.
Il Wu Wei ci ricorda che la realtà ci dice sempre la verità di un momento e in quanto tale questa è la migliore opzione possibile.
Tuttavia essa non è una verità assoluta, la verità che emerge ora è una verità transitoria, ma con cui possiamo relazionarci in maniera costruttiva, a volte semplicemente lasciando che le cose accadono e seguano il loro corso, mentre noi, se siamo abbastanza recettivi, aperti e fiduciosi possiamo intanto osservare e orientare lo sguardo dentro e fuori di noi, laddove sicuramente, se apriamo gli occhi, si svelano a noi nuovi orizzonti e nuove consapevolezze.
Prime fra tutte la consapevolezza di essere sempre più importanti di un risultato materiale o relazionale, e la consapevolezza che il risultato si può tanto più manifestare quanto meno abbiamo una relazione di dipendenza da questo e quanto più coltiviamo una relazione di fiducia sapiente e lungimirante con noi stessi e con la vita, nelle sue molteplici sfaccettature.
Coltivare, giorno dopo giorno, anche grazie ad un supporto esterno adeguato, una visione di questo tipo, significa accrescere il rispetto per noi stessi e consolidare un senso di fiducia e stabilità interiori, convinti di vivere una vita in cui noi, come gli altri, siamo protagonisti, appassionati non del risultato ma del percorso, in un’avventura in cui attenti, versatili e flessibili, interagiamo con la realtà, impariamo da questa e questa diventa via via più docile e appassionante.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia
presso Studio Burdi
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La condivisione e l’amore di sè
La condivisione e
l’amore di sè
Quanto ci stritola la vita? con i suoi ritmi, il lavoro, i figli, la crisi, la guerra, le difficoltà, la pandemia, la mancanza di soldi, la politica che non funziona, i problemi di salute, la coppia che non va, la vita sociale non ti appaga, quella lavorativa ancor meno, i colleghi di lavoro che ti avvelenano, stimoli culturali pari a nulla, esci di casa e pare che stai andando a fare la guerra con il pugnale tra i denti e l’elmetto pronto a colpire se non a difenderti, le persone che ti vomitano addosso i loro problemi come se tu non ne avessi sufficienti di tuo ma tu, inspiegabilmente, non hai la forza di dire <<no>>, <<basta>>; soggetti instabili ed inaffidabili mascherati da rocce umane che ti risolveranno la vita affettiva per sempre.
Arrivi in ufficio, se hai la fortuna di avere un lavoro, e sei preso d’assalto; il capo ti prende d’assalto, tutti avvolti in questa nube tossica non meglio identificata.
Se non hai un lavoro sei assalito dai debiti, dalla moglie o dal marito, che non fa che rinfacciarti che le cose non vanno, che vorrebbe di più, l’auto più, la casa più, il figlio più e, non tanto sotto sotto, ti sta dicendo che la colpa è tua, che non ti impegni abbastanza, che non ti adoperi, che non sei capace a nulla e non lo sarai mai, che sei idealista ma non concretizzi mentre lui (o lei) fa tutto per tutti e porta il pane a casa. I figli che pretendono sempre di più e tu sei stritolato dai media che dicono loro ciò che devono desiderare, ciò che fa <<figo>> e tu non ce la fai a negarglielo e se glielo neghi perché non ce la fai è la fine della genitorialità, ti cancellano, si negano a te ed improvvisamente non sei più un buon padre o una buona madre e dalla sera alla mattina sei deceduto per loro.
All’antica cantilena <<essere o non essere>> se ne sostituisce una nuova e più potente <<essere o avere>>: due a zero per <<avere>>!
A fine giornata sei morto o come un giorno disse un personaggio – transitato per un attimo nella mia vita ma insediatovisi nella memoria eterna – <<frastordito>>, un fritto misto tra <<frastornato>> e <<stordito>>. Un genio! Io non avrei saputo creare di meglio!
A me verrebbe piuttosto da dire <<ci sarebbe da essere depressi!>>.
Ma veniamo al punto.
Il punto è che se si permette a questo vortice di ingoiarci come sabbie mobili, che farebbe rima con <<nobili>> ma che di nobile non ha nulla, sei finito.
Restituire alla vita il suo significato, a noi stessi il giusto significato ed il giusto ruolo nel mondo, agli altri la giusta ed adeguata collocazione, ai problemi la giusta dimensione, ristabilire le priorità, ritrovare l’isola che c’è, scegliere e non subire le scelte, diventare registi della propria vita e non mere comparse pagate (se pagate!) con trenta denari per essere comprati e costretti ad abdicare a se stessi divenendo oggetto di tangente e Giuda di se stessi. Perseguire ciò in cui si crede, costi quel che costi, affrontare le battaglie anche quando saremo in solitudine ad affrontarle – ma in battaglia siamo sempre soli con noi stessi perché il nostro primo nemico da abbattere è proprio quella parte di noi che teme il confronto, il conflitto – consapevoli che alla fine la verità verrà fuori e questa sarà la vera vittoria; scegliere di condividere la propria vita solo con chi ci fa stare bene, fare solo ciò che ci piace, allontanare ciò che ci danneggia. Allungare il braccio e con la mano tesa porre le distanze da tuttociò che si discosta dal nostro protocollo del benessere.
Diventare vigili urbani di se stessi, mentalizzare questo gesto è salvifico.
Prendere le distanze da ciò che ci sta facendo del male è salvifico.
Non negare a noi stessi che una data situazione ci sta facendo del male, ciò è salvifico.
E ciò va fatto, subito, senza por tempo in mezzo, nel momento in cui un pugno nello stomaco ci raggiunge e ci avverte che quella situazione, quella persona, quella circostanza ci sta uccidendo, ci sta chiedendo di abdicare a noi stessi, di tradire noi stessi, di rinunciare al nostro bene che solo noi sappiamo quale sia.
Fare finta di niente, il <<politicamente corretto>>, farsi invischiare nelle altrui disfunzioni mentali ed affettive, questo non è salvifico.
Allungare il braccio e stendere la mano in segno di <<stop>> ti dà la lucidità di guardare le cose, le persone, le situazioni, le circostanze per quello che sono e trovare la soluzione migliore per te che, attenzione, non è detto che non ti farà soffrire ma certamente ti farà soffrire meno che se tu decidessi di tradire te stesso e di subire passivamente ogni prevaricazione che proviene dalla vita.
Come disse Esopo: <<È facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza>> (Esopo, Favole, VI sec. a.e.c).
Prendersi tempo, darsi del tempo, nella consapevolezza come disse Ghandy che <<quando hai fretta devi camminare lentamente>>.
La distanza giova a purificare certi difetti che di presenza risultano intollerabili e paradossalmente è possibile che così facendo si possa anche salvare ciò che ritenevi perduto per sempre ma in ogni caso avrai salvato te stesso.
Concluderò questo message in a bottle, come la famosa canzone dei police, con un’’ultima riflessione: il vero problema non è ascoltare i problemi altrui ma non saperli condividere.
E questo accade quando qualcuno ci considera il suo contenitoredi sfogo poiché è un tutt’uno con il suo problema, vero, grave o finto che sia non sapendone prendere le distanze e lì non vi è sana comunicazione ma l’avvelenamento di chi supinamente subisce.
Condividere i problemi è possibile purchè ciascuno sappia a sua volta prendere le distanze da se stesso e dal proprio problema non identificandosi con esso. Solo così nascono la vera condivisione e l’arricchimento reciproco. E parafrasando una frase di MahatmaGandh: <<Non permettere a nessuno di passeggiare nella tuamente coi piedi sporchi>>.
Laura C.
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