White screen of death – Contro il senso del dovere
Qualche mese fa, mi è stata affidata la gestione del portale internet dell’attività per cui lavoro. Una mansione delicata, perché, attraverso il sito, la nostra clientela viene a conoscenza della maggior parte delle informazioni che permettono di sceglierci, rispetto ai vari concorrenti. Non occorrono molte competenze informatiche: dovere principale è ordinare le pagine del sito e aggiornarlo con articoli, commenti e foto condivisibili sui social. Occorre, però, stare attenti, cosa a cui non ho badato una sera, aggiornando i plug-in della pagina. Non so in quale modo, ho crashato tutto, facendo andare il sito offline o, per dirla come gli esperti in materia, ho prodotto il “White screen of death” – la Schermata bianca della morte che decreta la sospensione del sito e la perdita dei dati lì reperibili.
Ero in panico assoluto. In primo luogo, avevo vanificato anche il lavoro fatto da altri prima di me e poi avevo disperso così, la fiducia riposta nei miei confronti. Per di più, ogni mio tentativo di ristabilire la normalità attraverso backup di sistema o risultava inutile o rischiava di peggiorare la situazione. Chi, in quel momento, ci avesse cercato sul web, si sarebbe trovato davanti una bella pagina candida e vergine, con, nel margine, numeri incomprensibili che forse, decodificati avrebbero reso in lettere: “Scusateci, ma il nostro webmaster è un coglione!”.
Cosa fare? La mia mente proponeva tre soluzioni:
– Non presentarmi al lavoro e scappare in Brasile.
– Confessare tutto al mio datore di lavoro e cercare con lui, un rimedio.
– Scappare, ora, in Brasile.
Accantonata (momentaneamente) l’idea della partenza, riprovai, nottetempo, un inattaccabile discorso di scuse; mentre lo ripassavo, però, cominciavo a rendermi conto che la paura più grande, quella che mi assediava fino a non permettermi di ragionare, non stava tanto nell’aver mancato all’incarico di fiducia, quanto aver perso una sorta di sfida col mio senso del dovere e della perfezione.
Mi preoccupava il conto che non tornava con me stesso, non quello con gli altri.
La terapia insegna che esiste un senso dell’obbligo, del dovere, spendibile fino al personale martirio, imparato da piccoli e che ci impegna nei confronti di ogni relazione: partner, famiglia, lavoro, società…questo lavoro forzato sottrae il netto (l’essenza) della nostra felicità.
Evochiamo, nel nostro inconscio, un “fantasma sacrificale” – per dirla con Recalcati – che aggiungiamo al “sacrificio primordiale” che permise ai nostri progenitori, di far parte dell’umano consorzio. “La differenza tra il sacrificio simbolico e il fantasma sacrificale consiste nel fatto che mentre nel primo una quota pulsionale viene “sacrificata” dal soggetto in cambio della sua inclusione nella comunità umana, nella logica del fantasma sacrificale il sacrificio diventa una meta paradossale della pulsione: non mi sacrifico in vista di un fine perché il sacrificio è in sé stesso un fine”. (Recalcati – Contro il sacrificio p.42).
Il cuore della nevrosi dell’uomo contemporaneo sarebbe qui; in una dispersione di forze che quieta temporaneamente e non realizza mai.
Per spiegarlo, alla pari di Camus, potremmo far riferimento al mito di Sisifo.
Simbolo del dovere sterile che ci rende degli “uomini cammello” (Nietzsche), ovvero degli schiavi che addossano inutilmente su sé, tutte le responsabilità del mondo, Sisifo è condannato dagli dei a spostare, sulla vetta ad una montagna, un grosso macigno; questo, ogni volta che avrà raggiunto la sommità, ricadrà su sé stesso per effetto del suo peso. La pena di Sisifo, quindi, oltre che quello della fatica, è costituita dalla consapevolezza che quell’eterno lavoro servirà solo a placare l’ira degli dei nei suoi confronti e a fermare là, il suo mondo: “Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”. (Camus – Il mito di Sisifo).
Immaginarci felici, semmai col ragionamento: “se sconterò questo avrò in cambio gioia e pace”, non può bastare.
Sacrificarsi per mantenere bianca e pura, la facciata del quieto vivere, può nascondere la morte dell’anima.
Il dovere porta piacere se si connette al nostro Desiderio, se ci conduce verso quello che con consapevolezza, ci nutre, ci fa crescere, ci rende uomini e donne migliori. Sisifo guarda alla vetta della montagna; l’analisi ci aiuta a guardare più in alto, a coltivare, semmai buone passioni per non essere schiavi di quegli schemi mentali ereditati, ma, che è sempre possibile modificare.
Cosa non semplice, rendersi conto che molte volte, spostiamo pesi enormi, per conto di regole antiche, ma, è la fatica impiegata per quella lotta di liberazione ad essere giustificabile e foriera di stabilità interiore.
Da parte mia, non sono più scappato in Brasile. Ho preferito chiedere un parere ad un amico più esperto, riuscendo a far tornare on-line, il sito. Al referente ho spiegato che, alla luce dell’accaduto, ove avesse ritenuto opportuno, poteva scegliersi un altro media manager, per curare la nostra visibilità sul web. La risposta è stata che, per il momento, non si sarebbero cercati tecnici, ma persone che mettono passione nel loro lavoro.
Quel compito, così, si è trasformato in una cosa davvero mia, avrei potuto rinunciare e restare nel mio solito ruolo, “avrei potuto anche accontentarmi, ma è così che si diventa infelici.” (C. Bukowski)
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