E’ ancora un gioco
Fare una “puntatina” di tanto in tanto per vivere un isolato momento di divertimento non significa essere giocatori d’azzardo patologici. Ciò che fa la differenza è la misura e la cautela con cui si gioca, di fatti nella gran parte dei casi la preoccupazione di sviluppare una dipendenza conferisce autocontrollo. Ma cosa accade allora a chi resta invischiato nella trama del gioco d’azzardo? L’esperienza acquisita sul campo con questi pazienti confermerebbe i risultati di ultime ricerche scientifiche che sostengono che la patologia dei giocatori d’azzardo sarebbe determinata da un mix tra fattori genetici e caratteristiche temperamentali quali impulsività e distorsione cognitiva. Il giocatore pensa di giocare per vincere ma in realtà “gioca per giocare per poi perdere” in quanto il cosiddetto “puntare “ rappresenta una sfida , un rischio, che anche se per poco, conferisce un senso di onnipotenza dato dall’ illusione del controllo del gioco. A livello inconscio attraverso l’azzardo, il giocatore sfida il fato, sfida la sua condizione subente, sfida il padre verso il quale vorrebbe sferrare un attacco per essere stato troppo punitivo e severo. Il giocare d’azzardo rappresenta quindi una forma latente di ribellione verso le autorità genitoriali, al contempo però, la ribellione produce senso di colpa e la perdita rappresenta l’unica forma di espiazione per l’aggressione inflitta all’ oggetto amato. Si innesca così il circolo compulsivo del gioco d’azzardo, che si alimenta con l’antitesi tra sfida e perdita. Il gioco diviene quindi espressione inconscia di una sotterranea sofferenza psichica alimentata da un senso di colpa e dall’ angoscia di tenere a bada gli impulsi di ostilità e aggressività .
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