Non poche volte, nell’attesa che le sedute inizino, la mia attenzione si è fermata su un pendolo di Newton ingarbugliato e messo sulla mensola più alta della libreria dello studio. Quasi nascosto, tra i trattati di psicologia e le opere di Carl Gustav Jung, dev’essere caduto più volte o è, forse, il risultato del nervosismo di qualche paziente. Comunque, per me è un simbolo: l’immagine dell’intervento della vita, sulle precise teorie della conservazione del moto e dell’energia, codificate dal citato fisico inglese.
I cavi delle palline sono annodati tra loro e bisognerebbe perderci un po’ di tempo, per risistemarli nella loro posizione originale e farne ripartire oscillazione e ticchettio. Mi perdoneranno i filosofi naturalisti, ma quel marchingegno per come sta combinato, appartiene ormai a tutt’altra scienza, quella che studia e permette il lavoro continuo, intimo e personale, a colui che ha scelto di intraprendere seriamente, il percorso psicoanalitico. Il viaggio dentro se stessi capace di individuare e sciogliere quei nodi che presente o passato hanno stretto da qualche parte, nell’anima, attraverso le vie della consapevolezza; l’unica strada che ci permette di guardare al limite, al blocco che strenuamente ci terrorizza, come occasione di libertà e rinascita; di accettazione e superamento.
Quella consapevolezza (cum-sapere), è il permesso che diamo a noi stessi, di considerare attentamente ciò che viviamo. Il punto più alto che risulta dalle coordinate della nostra coscienza e della conoscenza che ricaviamo dal mondo. Per questo motivo è un cammino orientato, uno studio senza sosta, un impegno preciso. Solo la consapevolezza spiega i nostri nodi per farceli, poi, districare. Essa impone un primo movimento, il primo passo della danza della nostra alba, è saper dare un nome a quel dannato intreccio, sempre scoordinato delle nostre attese, visto che piantarsi nella pace sconta sempre i solchi del dolore: dipendenze, nevrosi, paure, défaillances amorose e sessuali hanno tutte, alla radice, un nodo su cui il problema rivive nella memoria (come un nodo al fazzoletto) e detta a noi, continuamente, sentimenti ed emozioni (come un nodo in gola).
E più un nodo risulterà serrato, più avrà bisogno degli strumenti che soltanto terapeuta e analisi potranno fornire, nonché della pazienza di chi sa amarsi.
Ma non ci sono scorciatoie? Alternative? Un viaggio low-cost, un’offerta last minute, un’“all can you think”? Certo, su quelle che si conoscono, ne spiccano due, opposte tra loro, ma ugualmente deleterie.
- La soluzione alessandrina.
Come nel mito di Alessandro Magno, se un nodo non può essere sciolto, lo si taglia.
Risultato: ci si libera, ma non si ottiene il risultato desiderato. L’oracolo, nel mito, prometteva a chi scioglieva il nodo, il dominio assoluto e imperituro su tutte le terre dell’Asia. Alessandro si fermò all’Indie e morì giovane.
Applicazione pratica: affrontare il problema, seppellendolo in noi stessi, non lo risolve.
- L’opzione Flaubert (c’cang, mang. Tr.: chi muta, banchetta)
L’ultimo romanzo (incompiuto) di Gustave Flaubert si chiama Bouvard e Pécuchet (1881). Parla di due copisti che incapaci di gestire le loro difficoltà, non fanno altro che cambiare continuamente mestiere, rendendosi fallimentari (e ridicoli) in ogni attività. Ad un passo dal suicidio, decidono, dopo altri paradossali ingaggi, di tornare alla loro occupazione originaria.
Risultato: cambiar vita e abitudini non risolve i conflitti personali, anzi moltiplica solo i giri sul nodo scorsoio del rimorso.
Applicazione pratica: si perde più tempo nel distrarsi che nel diventare consapevoli.
Mentre scrivevo, spontaneamente mi è venuta in mente una canzone che ha come titolo: “Il nodo” (Raf-Pacifico), il ritornello recita: “Da lontano il nodo non cede per niente/un serpente che stringe e respira/anche quando mi nomini a mente si sente./Da lontano quel nodo non cede non molla/come colla ogni giorno più dura/anche quando mi nomini a mente si sente”.
Il nodo a cui viene fatto riferimento, ovviamente, dipinge momenti felici che non ci sono più, ma che continuano a rivivere nella mente dell’autore, in maniera imprevedibile. Nel nostro viaggio, potremmo trovare anche “nodi buoni” messi lì dagli eventi o da chissà quale addio. Forse, hanno la stessa irruenza dei nodi che contavano i marinai per definire la velocità delle navi e che oggi restituiscono a tutti, la forza dei venti. Ci sono nodi che vanno sciolti necessariamente e ci sono nodi che vanno tenuti così e che, forse, ci stanno indicando che la vita la stiamo solcando a una buona velocità. Quella vita che è nostra. Solo la nostra.
luca
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