KINTSUGI
rotto è più prezioso
Chi rompe paga e i cocci sono i suoi… e sono bellissimi!!
“E’ l’alba di un momento. Sono piena di entusiasmo. Vibro e rivibro. Sento la potenza della vita scorrere. Che fortuna che anche tu ci sia, qui accanto a me. Ma il passo è lento, mi affatica. E tu? Dove sei finito? Scorbutico e infastidito. Ci contavo. Dove ho sbagliato? Ma non posso mollare. Ho paura, ma riprovo.Saranno fieri di me. Tento ancora e non mollo. Mi hanno insegnato a non mollare. Devo arrivare, devo farcela e devo farlo nel migliore dei modi. Altrimenti…..altrimenti……altrimenti……meglio non pensarci. Mi vedranno, finalmente!
Ma io non mi sento a mio agio. Voglio rallentare. E mi sento pure sola, ormai. Si sono arrabbiati. Dicono che ho fallito… chevergogna! Danno e Beffa. Qui, su di me. Un senso di colpa mi pervade! Avrei dovuto, avrei potuto fare. Ho fallito!!”
Nulla sarà più come prima.
…E per fortuna direi.
Le cose non filano sempre lisce. Amiamo profondamente i nostri sogni. Siamo lì, sul pezzo, a pretendere, più o meno consapevolmente, che tutto vada secondo i piani. Ma qualche sogno non ci ha amato fino in fondo: non abbiamo superato quell’esame; quella persona, proprio quella da cui non ce lo aspettavamo, ci ha tradito, manipolato, violato; quell’altra volta non siamo riusciti a difenderci; Insomma, in qualche misura, abbiamo fallito. Il fallimento è per noi una esperienza che disturba.
Chi non ha avuto esperienze soggettivamente disturbanti?: un fallimento (appunto) personale o relazionale, ma anche un’umiliazione subita o una interazione (anche ripetuta) brusca con delle persone significative, peggio se durante l’infanzia. Qualcuno ne ha subite di più gravi: traumi che hanno minacciano la propria vita, o quella delle persone care: un abuso, un incidente, ecc… Comunque sia è danno. E’ lesione. Qualche volta e’ lacerazione. Del corpo, della mente e dell’anima. E’ crisi. Una crisi è un bicchiere mezzo vuoto. E’ difficile vederlo come un orizzonte, come una apertura alle mille possibilità che un orizzonte propone. E’ più facilmente una chiusura, attraverso la quale non passa niente, neanche l’aria. Perché?
Perché le ferite dell’anima e i traumi della mente sono scomodicome cicatrici da nascondere sotto strati di trucco? Meglio non parlarne, nasconderli sotto il tappeto della nostra memoria, chiusi nel doppiofondo del nostro cuore, restando noi immobili a sperare che, non pensandoci troppo, spariscano. Perché? Perché siamo educati alla perfezione. Tendiamo a considerare il perfezionismo un simbolo di valore. L’emblema della persona di successo. Uno spartiacque tra l’essere accolto o l’essere rifiutato, da un genitore, ma anche da un figlio. Da un partner, o da un amico.
Da un gruppo, da una società. Eppure, al contrario, spesso da perfezionista, mi sono sentita scontenta ed insoddisfatta, nella costante sensazione di non essere (ovviamente) mai abbastanza perfetta: come figlia, come studente, come professionista, come moglie, come madre, come amica….tutto sarebbe perfezionabile. E’ questo un modus vivendi in cui l’apparente perfezione è più importante della realtà.Siamo dominati da voti, classifiche, graduatorie, che certamente non aiutano.
Sono un professore universitario. Vedo molti ragazzi e vedo gli effetti che questa mania di perfezionismo ha su di loro. Lui, uno studente, questa mattina era li’. In prima fila. Partecipava ad una sessione del mio esame. Ad un certo punto, si è avvicinato a me e con respiro affannoso mi ha detto che era uno studente DSA, tentando con le parole di giustificare cosi’ la sua tachicardia. Chiedeva di andare fuori a respirare. Non ho potuto fare a meno di immaginare quale fosse la sua ansia da prestazione in quel momento. Quanto si potesse sentire deluso all’idea di non farcela. Forse stava solo tentando di mostrare la sua debolezza,.A me … e a se stesso. In una cultura in cui questo non è permesso. Ecco la pericolosità del perfezionismo come stile di vita: il perfezionamento delle proprie imperfezioni. E quando lo interiorizzi, ti è piu’ facile accettare una etichetta (sono un DSA) che giustifica le tue imperfezioni, (come se le imperfezioni avessero bisogno di giustifica) ma che ti lascia vivere finalmente in pace. Ma quanto spreco ha fatto questo giovane uomo della sua vita? Questo è un mondo in cui ogni imperfezione aumenta il bisogno di essere perfetti, altrimenti sei un fallito. In un ciclo autolesionistico!
Ci è difficile quindi vedere in una crisi lo spiraglio di un’opportunità o il segno che abbiamo bisogno di evolvere e cambiare.
Chi rompe paga e i cocci sono i suoi…è un proverbio toscano, che seppure poco veritiero, ci induce a pensare che se prendiamo un oggetto e lo rompiamo, dobbiamo pagare il danno, e poi potremo tenere per noi i resti di quell’oggetto ormai rotto. E che ce ne facciamo di questi cocci? Cerchiamo di ricostruire quell’oggetto. Usiamo colla trasparente per tentare di ricostruirlo cosi come era. Apparentemente perfetto. In modo che non si veda. Ma lo sappiamo che non durerà. Una cosa rotta non potrà più tornare davvero come prima. E allora cosa si fa? La si butta via. Lo si butta via e si ricompra. No!? La vita però non si può gettare via, né ricomprare. Un evento traumatico, è una porcellana rotta. E i suoi cocci sono pure furbissimi. E sono tutti uguali. E uno crede di aver raccolto e di avere in mano i suoi cocci. Quelli per cui ha pagato. Invece ha in mano i cocci di chissàchi.
Perciò ci sentiamo costretti a rimanere intrappolati in relazioni che non esistono piu’; su un esame universitario per anni; Incapaci di godere del normale piacere erotico; sotto il potere di sostanze naturali o artificiali che ci intossicano e ci consumano giorno dopo giorno; Incapaci di riprendere una via. Goffi nel tentativo di nascondere il danno, perché….”cosa diranno di me”. Teneri, nel tentativo di attaccare con lo sputo pezzi che non combaceranno mai… questi cazzo di cocci… Alla meglio, va di moda l’accettare, con un amaro gusto di sconfitta in bocca e un sorriso falso sulle labbra.
Ma noi siamo esseri umani. Neotenici. Capaci di adattamentocreativo. Vuol dire che fa parte del nostro istinto non arrenderci alle difficoltà, ma superarle. E se cadiamo o falliamo, abbiamo le capacità e la forza di rialzarci ed elaborare nuove soluzioni. È allora che la filosofia giapponese del kintsugi viene in nostro aiuto:
“l’obiettivo non è solo quello di sistemare l’oggetto, ma di dargli anche una nuova vita e un nuovo aspetto, valorizzandone le crepe, invece di nasconderle. Dolci cicatrici, come fiumi d’oro, lo attraversano, regalando alla vista una nuova armonia.”
Il concetto di fondo è importantissimo: ciò che è rotto non è perduto, ma può rinascere, con nuova forma e con la forza dalle sue imperfezioni. Diventando così qualcosa di molto più bello.
Le nostre cicatrici non sono più difetti, ma sono l’inchiostro con cui è stato scritto il nostro passato. Raccontano la nostra storia che, per quanto dolorosa, è parte di noi. Siamo noi. I sopravvissuti. Le esperienze difficili che abbiamo affrontato non ci hanno solo “danneggiato”, ma anche rafforzato e fatto crescere. Vasco rossi diceva:
Noi siamo i soliti, quelli così
Siamo i difficili, fatti così
Noi siamo quelli delle illusioni, delle grandi passioni
Noi siamo quelli che vedete qui
Abbiamo frequentato delle pericolose abitudini
E siamo vivi quasi per miracolo, grazie agli interruttori
Noi siamo liberi, liberi, liberi di volare
Siamo liberi, liberi, liberi di sbagliare
Siamo liberi, liberi, liberi di sognare
Siamo liberi, liberi di ricominciare
E dunque, coli tra i nostri cocci lo stimolo a reagire, la fiducia in noi stessi, la consapevolezza di cio’ che siamo in grado di fare, anche dopo un fallimento. Circoli nelle nostre vene l’oro della creatività e dell’empatia verso se’ e verso gli altri, per superare definitivamente la sclerosi da giudizio.
Valeria Carofiglio
tirocinante di psicologia clinica
presso lo studio burdi
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