Il mammone bamboccione
IL MAMMONE, BAMBOCCIONE. L’ apprensione che non fa crescere.
L’errore nella vita di ciascuno di noi è essenziale e necessario. Le difficoltà, Il fallimento, aldilà della loro connotazione negativa, spronano a far di più e meglio, facendoci conoscere quali sono i nostri limiti e i nostri veri desideri.
Tanti ricorderanno lo strepitoso successo di “Ricomincio da tre”, film del 1981 diretto da Massimo Troisi. Un film ancora ineguagliato come permanenza nelle sale italiane. Tra i tanti personaggi che s’incontrano, nel susseguirsi della trama, uno riesce, su tutti, a destare nello spettatore, uno strano mix di sentimenti, sospesi a metà tra tenerezza e compassione.
E’ il quasi cinquantenne Robertino (Renato Scarpa) che nonostante l’età, conserva modi, pronunce e ritrosie tipiche di un preadolescente.
Il suo unico svago sembra essere la visita di Frankie, un predicatore protestante italo-americano. Per il resto: lui, mammina e i suoi schemi mentali alquanto retrivi.
L’atteggiamento critico della madre, sui costumi della moderna società, sui giovani di oggi che confondono sesso e amore, sul demonio, nascosto in ogni dove, hanno reso Robertino, un oggetto da museo.
Incerto, muto, dipendente ed estraneo a qualsiasi pulsione esterna. Non a caso chiederà a Gaetano (Troisi) dopo quante volte, il fare l’amore, diventa un atto immorale. Da qui, l’invito insistente di Gaetano a uscire, a far qualcosa, semmai anche “rubando e toccando e’ ffemmine”, tutto purché impari a vivere.
Robertino ha una mezza crisi istrica, preferisce rimanere con mammina e nessuno lo istigherà a cambiare. Sebbene il resto dei personaggi, nel film subisca un’evoluzione (o un’involuzione) di Robertino si perdono le tracce. Ma ne intuiamo la profetizzata fine: “mammina te mann a o manicomij, attè”.
Non ci interessa molto il fatto se Robertino è mammone o bamboccione; se è dalla sua gioventù che continua ad essere uno “sdraiato” (come i ragazzi del libro di Michele Serra) o non ha trovato lavoro perché troppo “choosy”; se un padre ce l’ha o è scappato dalla famiglia per disperazione.
Quello che lo distingue è l’essersi arreso: ai dettati (dettami) della madre, alla sua emancipazione, alla vita stessa. In poche parole: ha scelto di non sbagliare. Sbagliando poi, tutto.
Uscite da casa vostra! Pioverà, ci sarà vento, vi sporcherete le scarpe, vi innervosirete per la macchina in doppia fila…ma uscite! Uscire, nella vita, vuol dire crescere, verbo che la sapienza dei latini accostava a “creare”.
Quella creatività/creazione oggi, più che mai, fondamentale per scoprirci come uomini e donne che, nella fretta del mondo, rischiano di perdersi e svanire. O nascondersi, come Robertino.
Da piccolo, mi interrogavo sul comandamento: “Onora il padre e la madre”. Che voleva dire? Ero bravo a scuola, facevano tutto quello che dicevano, in fondo non li stavo onorando? Quale sarebbe alla fine lo scopo? Dopo, cosa ne rimarrebbe, la dipendenza o l’ autonomia?
Disobbedire è crescere ed imparare l’autonomia, allontanandoci dai processi educativi proposti ed imposti, alla ricerca della propria educazione. Un uomo sarebbe in grado di educarsi da solo.
L’insegnamento dei genitori serve, se ci aiuta ad “errare” e maturare, a diventare grandi, a diventare uomini e donne, padroni delle strade del mondo avviene, lasciando la mano.
luca
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