Shopping Compulsivo
Quando l’acquisto diventa una dipendenza
Cos’è lo shopping compulsivo?
Lo shopping compulsivo, o dipendenza dallo shopping, è un disturbo caratterizzato da un’eccessiva tendenza all’acquisto, che può influenzare negativamente la qualità della vita di una persona.
Mentre alcune persone con questa condizione sviluppano una preferenza per determinati prodotti, come orologi o cibo, altri comprano in modo compulsivo senza restrizioni.
In ogni caso, il disturbo dell’acquisto compulsivo può avere effetti negativi sulle finanze personali e sulle relazioni sociali.
Pur non essendo ufficialmente riconosciuto dal DSM, il disturbo da acquisto compulsivo è considerato un problema legittimo dai professionisti della salute mentale. Questa condizione può avere un impatto duraturo sugli individui e sui loro cari, e le opzioni di trattamento sono simili a quelle per altre dipendenze comportamentali.
Segni distintivi della spesa compulsiva
Ecco alcuni possibili segni distintivi della spesa compulsiva:
1. Acquisti impulsivi e irrazionali: la persona che soffre di spesa compulsiva può fare acquisti senza una reale necessità o senza considerare le conseguenze finanziarie.
2. Preoccupazione eccessiva per lo shopping: chi soffre di spesa compulsiva può passare molto tempo a pensare al prossimo acquisto o a pianificare i propri acquisti.
3. Sensazione di sollievo temporaneo: l’acquisto può portare una sensazione di sollievo temporaneo, ma che viene seguita da una sensazione di colpa o di rimorso.
4. Difficoltà a resistere all’impulso di acquistare: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere difficoltà a resistere all’impulso di acquistare, anche se non ci sono soldi sufficienti o se l’acquisto non è necessario.
5. Acquisti ripetitivi o ossessivi: la persona che soffre di spesa compulsiva può acquistare lo stesso prodotto in modo ripetitivo o ossessivo, o può avere un’ossessione per determinati negozi o marche.
6. Nascondere o mentire sui propri acquisti: chi soffre di spesa compulsiva può nascondere gli acquisti ai propri cari o mentire sui costi reali degli acquisti.
7. Utilizzo di carte di credito o prestiti: la persona che soffre di spesa compulsiva può utilizzare carte di credito o chiedere prestiti per finanziare gli acquisti, anche se non ci sono i soldi per pagarli.
8. Sensazione di perdita di controllo: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere la sensazione di perdere il controllo sulla propria vita e sui propri acquisti.
9. Problemi finanziari o debiti: la spesa compulsiva può portare a gravi problemi finanziari, come indebitamento e difficoltà a pagare le proprie bollette o le proprie spese quotidiane.
Fattori di rischio
Ci sono diversi fattori di rischio che possono contribuire allo sviluppo di uno shopping compulsivo:
10. Ansia e depressione: le persone con disturbi d’ansia o depressione possono utilizzare lo shopping come mezzo per alleviare i loro sintomi.
11. Bassa autostima: le persone con bassa autostima possono cercare di aumentare il loro senso di autostima attraverso l’acquisto di beni materiali.
12. Storia di abuso: le persone che hanno subito abusi fisici, sessuali o emotivi possono utilizzare lo shopping come mezzo di fuga o di conforto.
13. Storia familiare: le persone che hanno familiari con problemi di dipendenza, tra cui dipendenza dallo shopping, possono essere più inclini a sviluppare lo stesso comportamento.
14. Problemi finanziari: le persone che si trovano in difficoltà finanziarie possono utilizzare lo shopping come mezzo per affrontare lo stress e la tensione.
15. Pressione sociale: la pressione dei social media e della società in generale per avere e mostrare beni di consumo costosi può portare alcune persone a sviluppare comportamenti di acquisto compulsivo.
16. Accesso facile al credito: la disponibilità di carte di credito con limiti di credito elevati può facilitare l’acquisto di beni anche quando non si dispone di denaro sufficiente per farlo.
Come fermare lo shopping compulsivo
Fermare lo shopping compulsivo può essere una sfida, ma ci sono alcune strategie che possono aiutare a gestire questa dipendenza:
17. Identificare le emozioni negative che scatenano lo shopping compulsivo: l’ansia, la depressione, la noia o la solitudine possono essere alla radice dello shopping compulsivo. Identificare queste emozioni e trovare modi alternativi per gestirle può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
18. Creare un budget e rispettarlo: è importante stabilire un limite di spesa realistico e rispettarlo. Evitare di utilizzare le carte di credito e optare per metodi di pagamento alternativi, come il contante o le carte prepagate.
19. Fare una lista della spesa e rispettarla: prima di fare acquisti, fare una lista dettagliata degli articoli necessari e rispettarla. Evitare di acquistare oggetti impulsivamente che non sono nella lista.
20. Evitare di frequentare luoghi di shopping: evitare di frequentare centri commerciali e negozi può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
21. Chiedere aiuto: il supporto di amici e familiari può essere utile per affrontare lo shopping compulsivo. Inoltre, rivolgersi a uno psicologo specializzato in dipendenze può aiutare ad affrontare e gestire la dipendenza.
Ricorda che fermare lo shopping compulsivo richiede tempo e impegno, ma è possibile gestirlo e superarlo con le giuste strategie e il supporto adeguato.
Quando cercare un aiuto professionale
Le dipendenze comportamentali possono essere fonte di vergogna e disagio per molte persone, il che può renderle riluttanti a cercare aiuto.
Tuttavia, se stai lottando per controllare il tuo comportamento di shopping compulsivo e senti che sta influenzando la tua vita quotidiana, potrebbe essere il momento di considerare la possibilità di cercare aiuto professionale.
Inizia cercando un terapeuta specializzato nel trattamento delle dipendenze comportamentali.
Molte di queste persone utilizzano tecniche terapeutiche cognitive e comportamentali per aiutare i clienti a identificare i fattori scatenanti che portano al comportamento di shopping compulsivo e implementare strategie di coping alternative.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso Studio Burdi
La Depressione: un vaso di rabbia
La depressione, chiamata da Freud melanconia, viene definita come lutto senza fine e senza elaborazione.
Uno dei precursori maggiormente incidenti rispetto all’insorgenza della depressione è stato rintracciato nelle possibili perdite precoci durante l’infanzia.
La perdita precoce non è sempre reale e verificabile (come la morte), può essere interna e psicologica.
Un esempio è l’abbandono dello stato di dipendenza da parte del bambino, in seguito a negligenza da parte del genitore, ancora prima che il bambino sia effettivamente pronto alla separazione.
Secondo Furman, il processo di separazione- individuazione si risolve in dinamiche depressive anche quando la madre non accetta l’autonomia del bambino e si aggrappa inducendo, nel bambino, un senso di colpa per la sua emancipazione o rifiutandolo nel momento in cui torna nelle sue braccia per ricevere sicurezza e calore.
Accanto alla dinamica della perdita dell’oggetto d’amore, incidenti rispetto alla depressione appaiono anche famiglie sorde e cieche rispetto ai bisogni del bambino, famiglie noncuranti che mostrano apatia nei confronti dei figli o, ancora famiglie che scoraggiano ogni tipo di sofferenza.
Il bambino apprende di non poter esprimere il proprio dolore, di non poter chiedere aiuto perché non c’è nessuno che risponde alla richiesta con la protezione e l’affetto necessario.
La dinamica centrale della depressione sembra essere il volgimento verso l’interno del sentimento di rabbia che si manifesta sotto forma di una continua autosvalutazione messa in campo dai soggetti depressi: in realtà la rabbia è rivolta verso l’interno dal momento che il soggetto si è identificato con l’oggetto d’amore perduto (realmente o psicologicamente).
I soggetti depressi, così, dirigono verso il Sé i principali affetti negativi effettuando un vero e proprio sadismo contro il Sé.
Si tratta, infatti, di soggetti che non provano rabbia spontanea, si sentono spesso colpevoli per i loro sentimenti ostili di natura interpersonale.
Nel processo di introiezione e identificazione con l’oggetto d’amore perduto i soggetti depressivi si attribuiscono le qualità più odiose dell’oggetto in questione, mentre le parti affettuose e positive dell’oggetto vengono esclusi dal Sé e ricordate con affetto e tenerezza.
Un bambino che viene abbandonato da una persona per lui fondamentale proverà ostilità e tenderà a proiettare tale sentimento nel tentativo di elaborarlo.
Tramite la proiezione è il padre o la madre (l’oggetto d’amore) ad essere arrabbiato con lui.
Per il bambino questa è una situazione di tensione, è doloroso pensare che l’oggetto sia arrabbiato, è difficile da accettare, così il passaggio successivo è l’identificazione con questa parte rabbiosa dell’oggetto.
Il bambino fa a sua la parte ostile, aggressiva e rabbiosa nella speranza che ci possa essere una riappacificazione.
Da questa dinamica deriva la percezione del Sé come complessivamente cattivo, insufficiente, non meritevole. È il Sé ad essere colpevole della perdita subita.
La sensazione di essere stati rifiutati, abbandonati, viene trasformata nella convinzione inconscia di non essere meritevoli di vicinanza, di aver causato l’abbandono e di meritare il rifiuto.
Immaginiamo di aver perso una persona per noi significativa e immaginiamo di credere che la colpa di tale perdita sia nostra: tenderemo con tutte le nostre forze a recuperare il rapporto, cercando di provare affetti postivi verso la persona che abbiamo deluso e perso.
In questo contesto emotivo-affettivo è impossibile riconoscere i sentimenti di ostilità come connaturati al processo relazionale.
La possibilità di esperire affetti negativi e sentimenti ostili verso l’esterno e verso gli altri è, inoltre, bloccata da un Super-Io severo e rigido che induce al senso di colpa: si assiste ad un “autoaggressione dell’Io da parte del Super-Io”.
Così, l’insorgenza della depressione in età adulta è spesso causata da nuove esperienze di perdita, abbandono e rifiuto che riaprono la ferita originaria e che ridestano il sentimento del senso di colpa.
Nel momento in cui subiamo una perdita, il nostro mondo relazionale e il nostro mondo interno appaiono impoveriti: sperimentiamo una condizione di vuoto.
Nei soggetti depressi questo vuoto viene colmato con la rabbia, che non viene espressa nel contesto relazione e che diviene una vera autoaccusa.
La percezione della rabbia non viene annullata, è lì presente, percepita, ma rivolta esclusivamente verso il Sé. Riempie ma accusa, denigra e svaluta.
Un passo avanti verrà fatto solo quando i sentimenti e gli affetti ostili non saranno rivolti solo ed unicamente verso il sé, quando si riconoscerà la reciproca responsabilità nel processo relazione e nel suo possibile fallimento: quando avremo un elaborazione del lutto.
Quello che il soggetto depresso ha appreso è di non poter esprimere affetti negativi, di doverli contenere e reprimere. È importante che questi emergano, che appaiono nella loro dirompenza in modo da raggiungere un nuovo equilibrio che ne prevede la realizzazione attraverso modalità consone.
Le relazioni funzionali sono relazioni caratterizzate da ambivalenza: affetti positivo e negativi coesistono; gli affetti negativi che ci appaiono distruttivi possono essere costruttivi quanto quelli positivi, ci aiutano nella costruzione interpersonale di rapporti all’interno dei quali poterci esprimere e realizzare.
È la falsità o la mancanza di contatto che provocano solitudine e abbandono: esattamente come noi notiamo quando qualcuno ci cela i suoi affetti e le sue emozioni, gli altri se ne accorgono rispetto alla nostra persona.
Si tratta di apprendere un nuova modalità di espressione personale, rispetto alla quale dovremmo sentirci liberi e soddisfatti.
Esprimere la rabbia, sarà distruttivo, solo se ci interfacceremo con persone che reagiscono in modo patologico ad affetti negativi.
Contattare la rabbia, capirne la causa, esprimerla, ci consente di contattare quella sensazione di vuoto evitata, la cui accettazione ci consente di andare avanti, sperimentando nuovi affetti positivi e nuove dinamiche relazionali.
Fabiana Manghisi
Tirocinante presso lo Studio Burdi
Laurea Magistrale in Psicologia Clinico-Dinamica
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