Schiena
SCHIENA
A schiena nuda
contro pareti di chiese sconsacrate.
Negli occhi frammenti e colori dei rosoni gotici.
Ti prego stringimi nello scialle caldo
del tuo conforto.
Cadono le preghiere al traguardo degli autunni
passati ad aspettarti
Ti prego dissetami dalla fonte di verità
portandomi alla bocca
il calice malfermo di Bacco.
1i prego legami
i pensieri di libertà che mi hanno portato qui
credendo di lottare
nel silenzio del mio
bug genetico.
katiuscha nazzarini
Continua
Il raccordo degli accordi
Il raccordo degli accordi
Puoi chiamarlo accordo ma in realtà è puro “raccordo”.
Ti ritrovi la al centro di diverse correnti, strade, vicoli.
Le abitazioni sono pensieri, sensazioni, punti di vista, prese per mano o spinte di pugno, occhi che cercano o sguardi che allontanano.
Alcune le gradisci e altre meno, alcune le subisci e altre meno ma se non ci fossero non esisterebbe “raccordo” e non esisterebbero strade e nessuna vista, pensiero, occhi o sguardi.
Gli spazi, i tempi, le passioni, le preferenze, i sapori e i dissapori, diventano suoni.
E nel percorso non esiste stridore perchè tutto è colore,
perchè tutto è leggero, perchè ogni cosa ha il suo odore, e con la stessa semplicità attraverso il quale respiri, scegli di percorrerlo oppure no, scegli di deviarlo oppure no.
Un giorno canti mentre gli alberi svolazzano, quello dopo sorridi mentre le persiane dei palazzi si incazzano.
Tutto è suono e tu sei musica, fuori di te le note e dentro di te le corde, e poi tutto è musica e tu sei suono, fuori di te le corde e dentro di te le note… non sai e non vuoi sapere quale sia il punto d’incontro, non t’importa definire ciò che vi unisce.
Il tuo contrario è solo un palindromo e il tuo dissapore solo una scusa per invertire marcia e ripercorrervi ancora.
Non è importante conoscerne i perchè e i per come, la domanda è ignorata, la spiegazione sopravvalutata, la teoria schernita, perchè la vibrazione vince sulla partita.
“Io vibro quando sto bene.
Io vibro quando sto male.
Io vibro quando STO.
Se stai bene, se stai male, se anche tu STAI.
Ti va di vibrare un po’ con me?”
carmen de gironimo
ContinuaLA REALTÀ È LA NOSTRA CURA
Spesso non vediamo la realtà così com’è, ma attraverso occhiali che proiettano le nostre credenze, prospettive, illusioni e, in generale, la nostra esperienza di vita. È per questo che le persone reagiscono in modo diverso alla stessa situazione.
Abbiamo una serie di schemi attraverso i quali analizziamo le nostre esperienze quotidiane, che possono essere più o meno rigidi. Per esempio, a seconda delle nostre convinzioni e della nostra autostima, quando qualcuno dice “Sei bella oggi” possiamo pensare che sia un bel complimento, o che la persona stia mentendo o ridendo di noi. A seconda di quanto siano adattivi i nostri schemi, agiremo e penseremo in modo più o meno sano.
Essere consapevoli che ci sono sempre diverse prospettive sulla stessa situazione ci fa allontanare dal manuale che avevamo stabilito e agire in un modo che è più vantaggioso per noi. Quando ci succede un qualsiasi evento, l’emozione che proviamo dipende dalla nostra interpretazione della situazione. A seconda dell’interpretazione che ne diamo, questo ci farà sentire in un certo modo e, di conseguenza, il nostro comportamento tenderà in una direzione o nell’altra.
I nostri pensieri negativi e le nostre preoccupazioni spesso ci fanno soffrire più del dovuto: essendo intrusivi, ricorrenti, esagerati… Ci sentiamo in una “nuvola” che offusca la nostra visione e non possiamo vedere oltre.
Quindi come possiamo controllare le nostre emozioni? Cosa possiamo fare per cambiare il modo in cui ci sentiamo? La risposta sta nell’imparare a cambiare il modo in cui interpretiamo gli eventi, cioè a cambiare il discorso interno che abbiamo con noi stessi.
Chiediti le seguenti domande: “Quello che sto pensando è davvero così?”, “Tutti gli altri lo capirebbero allo stesso modo?”, “Cosa penserebbe la persona che più ammiro della stessa situazione?”, “E il mio migliore amico?”
Non credere a tutto ciò che pensi: prima di tutto sii consapevole che i nostri pensieri sono solo questo: pensieri. Non sono la realtà. I nostri pensieri e le nostre preoccupazioni sono la nostra interpretazione ed elaborazione della realtà… non la realtà stessa.
Pertanto, dobbiamo imparare a identificare le nostre emozioni negative quando appaiono, in modo che quando notiamo quel segnale di avvertimento, possiamo fermarci un momento e cercare il pensiero che ci ha portato a sentirci in quel modo, e poi cercare un modo di pensare alternativo più adattivo. Questo non è un compito facile, poiché siamo profondamente radicati nel nostro sistema di credenze e ci vuole pratica e sforzo per cambiarlo.
— ESPAÑOL —
A menudo no vemos la realidad tal y como es, sino a través de unas gafas que proyectan nuestras creencias, perspectivas, ilusiones y, en general, nuestra experiencia de vida. Es por este motivo que las personas reaccionamos de manera diferente ante una misma situación.
Tenemos una serie de esquemas a través de los cuales analizamos nuestras experiencias cotidianas, que pueden ser más o menos rígidos. Por ejemplo, según nuestras creencias y nuestra autoestima, cuando alguien nos dice “Hoy estás muy guapa” podemos pensar que es un agradable cumplido, o que esa persona está mintiendo o se está riendo de nosotros. Dependiendo de lo adaptativos que sean nuestros esquemas actuaremos y pensaremos de forma más o menos saludable.
Ser conscientes de que siempre hay varias perspectivas ante una misma situación nos hace alejarnos del manual que teníamos establecido y actuar de manera más beneficiosa para nosotros. Cuando nos sucede cualquier cosa, la emoción que surge se basa en la interpretación que cada uno hace de la situación.
¿Cómo podemos entonces controlar nuestras emociones? ¿Qué podemos hacer para cambiar la manera en la que nos sentimos? La respuesta radica en aprender a cambiar la forma que tenemos de interpretar los acontecimientos, es decir, modificar el discurso interno que tenemos con nosotros mismos.
Plantéate las siguientes cuestiones: “eso que estoy pensando, ¿es realmente así?”, “¿todo el mundo lo entendería igual?”, “¿qué pensaría de esa misma situación la persona que más admiro?”, “¿y mi mejor amigo?”
Tenemos que tener siempre presente que nuestros pensamientos están condicionados por nuestras creencias y que no necesariamente reflejan la realidad.
Por ello, tenemos que aprender a identificar por qué aparecen las emociones negativas y cuales son mis esquemas y creencias que provocan estas emociones, con el fin de modificarlos de la manera más adaptativa posible.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
ANAFETTIVITÀ e Il diritto all’ emozione
Una delle nostre caratteristiche in quanto esseri umani è quella di essere costantemente in relazione con gli altri.
Si tratta di relazioni che possono essere più o meno significative ma che ci coinvolgono quotidianamente, e spesso si tratta della principale dinamica che ci porta a interrogarci sulla nostra persona.
Possiamo avere la tendenza a ricercare la vicinanza degli altri, o al contrario, ad evitarla con tutte le nostre forze.
Le relazioni interpersonali ci chiedono un minimo di autosvelamento, ci viene chiesto di metterci in gioco e di lasciare all’altro la possibilità di “vedere”.
Le relazioni che caratterizzano la nostra vita divengono significative non solo con il tempo, ma soprattutto con l’impegno che poniamo nel loro mantenimento e nutrimento, con l’impiego di affetti ed emozioni.
Gli affetti non sono fenomeni individuali, che in taluni momenti, possono scontrarsi l’uno con l’altro; sono fenomeni interindividuali e intercomuni che si elicitano nelle relazioni.
Quando parliamo di anaffettività facciamo riferimento ad un’incapacità nel relazionarsi con gli altri ad un livello profondo, che richiede empatia e consapevolezza personale.
Le persone anaffettive sono spesso persone non consapevoli di se stessi, dei propri stati mentali, affettivi ed emotivi e che pertanto tendono all’isolamento.
La regolazione emotiva ed affettiva, che quindi influenza le nostre relazioni, non è qualcosa di cui siamo muniti fin dalla nostra nascita, è una capacità che acquisiamo ed apprendiamo all’interno del contesto relazionale primario, in cui la relazione con i nostri caregivers funge da esempio e modello per le relazioni successive.
Secondo il modello dell’attaccamento di Bowlby la ricerca della vicinanza fisica, mentale ed emotiva che il neonato brama fin dalla nascita è essenziale per la sua sopravvivenza.
La qualità di questa prima relazione influenza lo sviluppo del bambino, che interiorizza, sotto forma di modelli operativi interni quelle che sono le modalità relazionali proprie di questa prima fase che influenzeranno le successive relazioni.
Secondo Bowlby si possono realizzare tre tipi di attaccamento, a cui sono associati diversi pattern relazionali e di regolazione emotiva:
- Attaccamento sicuro: il bambino, e futuro adulto, è in grado di sperimentare un ampia gamma di affetti, che comprendono anche emozioni negative come paura e rabbia e raggiunge una sempre maggiore capacità nel rispondere ai propri bisogni in un cammino che conduce all’autonomia. Il caregiver è responsivo e presente, si sintonizza con gli stati affettivi ed emotivi del bambino consentendo una progressiva consapevolezza da parte di quest’ultimo. I bambini, e gli adulti, con un attaccamento sicuro sono capaci di verbalizzare i propri stati emotivi e di comunicarli agli altri.
- Attaccamento evitante: il bambino tende ad inibire l’espressione emozionale e ad auto consolarsi in modo eccessivo. Espressione di angoscia e rabbia vengono represse ed evitate e questo conduce all’esclusione di emozioni come paura, tristezza e dolore. Alla base della vita affettiva di questi bambini, e futuri adulti, vi è distanziamento affettivo, negazione dell’importanza delle relazioni, dei bisogni del sé e degli affetti negativi. Si tratta di adulti incapaci nel riconoscere i propri stati interni, che non hanno raggiunto consapevolezza personale dal momento che nessuno, quando erano bambini, ha riconosciuto tali stati emotivi e affettivi, favorendo il cammino di consapevolezza e autonomia. Si tratta di bambini che sono rimasti in attesa di uno sguardo materno mai giunto, e che per proteggersi hanno iniziato ad evitare relazioni.
- Attaccamento ambivalente\distanziante: i bambini, e i futuri adulti, tendono a mantenere il controllo nel contesto relazione con l’esasperazione di emozioni e affetti negativi, in modo da ottenere attenzione da parte del caregiver. Si tratta di bambini che pensano di non poter ottenere una risposta adeguata dal caregiver e che per questo accentuano le proprie sofferenze e i propri bisogni. Tale esasperazione, a cui segue la risposta ricercata e attesa, non li conduce verso un’autonomia regolativa emotiva. Sono soggetti incapaci di autoconsolazione ed esplorazione del mondo esterno.
- Attaccamento disorganizzato: il mondo affettivo del bambino è altamente contradditorio e frammentato. Si tratta di soggetti che vivono emozioni intense e sono soli nella loro regolazione, non hanno potuto apprendere alcun tipo di strategia nel contesto relazionale. Questo perché il caregiver è stato allo stesso tempo fonte di sostegno e protezione ma anche di paura e angoscia. Questo ha portato il soggetto a non acquisire una strategia di regolazione emotiva adeguata, avendo paura sia della vicinanza che della lontananza.
Quella che può essere, quindi, una mancata capacità nel contatto di affetti ed emozioni, che ci consente di creare relazioni significative e durature ha una sua spiegazione.
Questi modelli relazionali non devono essere intesi come qualcosa di immodificabile: la possibilità di far esperienza di contenimento, rispecchiamento e comprensione empatica aiuta nella rivisitazione di questi modelli, consentendo una loro resa maggiormente funzionale ed adeguata.
La risoluzione non sarà istantanea e spesso ci richiederà una dura messa alla prova, dove le emozioni potranno apparirci dirompenti, esplosive e incontrollabili, ma ci servirà tempo e maggiore consapevolezza personale.
Si tratta del famoso vaso di pandora: se siamo abituati a sopprimere le nostre emozioni, i nostri affetti, appena daremo loro modo di esprimersi tenderanno a fuoriuscire con tutta la loro dirompenza.
Allo stesso modo, se abbiamo appreso di poter ottenere attenzione, affetto, cura solo esasperando i nostri stati d’animo allora la loro regolazione, in termini autonomi, senza risposte esterne ci richiederà sacrificio e accettazione del dolore legato alla separazione dall’oggetto d’amore che non abbiamo mai realmente raggiunto.
Se abbiamo appreso che la rabbia è cosa brutta, così come la tristezza, e che piuttosto che provarle, accoglierle, contenerle e abbracciarle dobbiamo evitarle, sopprimerle e censurarle il percorso che ci porterà alla loro accettazione e al loro elogio sarà lungo e complesso.
Entrare in con-tatto con le nostre emozioni, assaporarle, accettarle ci richiede un abbandono di quelle che sono le dinamiche di ipercontrollo che solitamente adottiamo verso i nostri desideri e i nostri impulsi.
Ci richiede una piena sintonia con quella che è la nostra essenza più profonda, con la possibilità di una sua piena espressione.
Abbiamo il diritto di sentire ciò che sentiamo, abbiamo il diritto di esprimere quello che proviamo e solo dopo aver dato alle nostre emozioni la possibilità di esprimersi potremo ricercare una loro adeguata regolazione, che elude quello che è il pieno controllo.
Controllare implica una sorta di onnipotenza verso noi stessi e verso il mondo esterno, che ci limita nell’esprimerci in virtù di quelle che sono spesso imposizioni esterne che facciamo nostre.
Regolare le nostre emozioni ci consente di esprimerle, sempre, nel miglio modo possibile, in modo che non siano problematiche per noi e per gli altri senza però rinunciare alla loro affermazione.
Fabiana Manghisi
Tirocinante presso lo Studio Burdi
Laurea Magistrale in Psicologia Clinico-Dinamica
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LE EMOZIONI SONO INTELLIGENTI: Segui il tuo flusso, il tuo numero Uno
LE EMOZIONI SONO INTELLIGENTI:
Segui il tuo flusso, il tuo numero Uno
Nel celebre libro “Intelligenza emotiva” Golemandefinisce il “flusso” (dall’inglese “Flow”) come lo stato di grazia nel quale chiunque di noi riesce a compiere attività ad alte prestazionie con il minimo sforzo.
Il flussonasce dall’incontro tra abilità proprie in un certo campo e le sfide che si presentano. Il segreto è l’equilibrato bilanciamento delle due, indovinando il giusto centro al di sopra di quel livello di impegnominimo che genera noia, e al di sotto di quella data pressione che produce solo ansiae stress.
Chi sperimenta lo stato di flussotende ad estraniarsi momentaneamente dalla realtà, immergendosi in una condizione di trance, in cui il concetto di tempo e di spazio perdono priorità e vengono distorti. Secondo Goleman agire in uno stato di flusso significa lasciare scorrere libera l’intelligenza emotiva al suo massimo stato di espressione. Il flusso è coinvolgimentototale e operativo, focus, passione, creativitàa lavoro.
La gratificazioneche ne risulta dipende dalla mansione che si sta svolgendo, naturalmente. Ciascuno di noi ha delle aree di preferenza, laddove è più facile sperimentare lo stato di flusso.
Un musicistalo avrà senz’altro provato durante un’esecuzione strumentale, uno scrittorenella composizione scritta, un pittoredurante le sue pennellate più delicate, uno sportivodurante lo svolgimento di un’attività agonistica (si parla in questo caso di trance agonistica).
Ma imparare a comprendere e a riconoscere questo stato può consentire di applicarlo a qualunque lavoro si debba compiere. Anche nel lavoro di tutti i giorniin ufficio. Ogni piccolo progresso nel campo in cui ci si vuole applicare consente infatti di innalzare la soglia di sforzo minima necessaria a continuare ad avvertire lo stato di flusso, incrementando di fatto progressivamente la propria prestazione.
Agire in stato di flusso significa ritrovare in se stessi la motivazione intrinseca, scevra di giudizi esterni o auto osservazione giudicante. E’ una percezione della realtàchiara in termini di obiettiviprefissati e di focussu come conseguirli. E’ dunque appagamento, piacere, autostima, senso di controllo.
In termini medici coincide con livelli equilibrati dei tre principali ormoni regolatori dello stato emotivo:
− Dopamina, che regola il livello di motivazione e appagamento
− Serotonina, che stimola il buon umore
− Ossitocina, che genera empatia
Il fenomeno portato alla luce da Golemannegli anni ’90 (e ampiamente studiato da numerosi psicologi cognitivi come Csíkszentmihályigià molti anni prima) fa da eco ai concetti di “Ki” o “Praan” già noti nelle religioni Zenorientali, dove la tecnica per il raggiungimento dello stato di flusso si basa sull’arte spirituale della meditazione.
Trova poi applicazione nelle discipline marziali, dove con il termine giapponese “Mushin”, o l’equivalente cinese “Wuxin”, si fa riferimento ad un particolare stato mentale in cui i maestri altamente addestrati in tali arti affermano di essere di in grado di entrare, prima di un combattimento.
La buona notizia è questa: anche se non siamo grandi maestri di arti marziali, artisti professionisti o sportivi agonistici, lo stato di flusso è alla portata di tutti. E’ sufficiente un piccolo sforzo iniziale, per poi lasciare il nostro puro istintolibero di divertirsi.
simone
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