Dall’ abuso all’ omosessualità: Giacomo e il suo pedofilo
Dall’ abuso, all’ Omosessualita
Giacomo e il suo pedofilo
Mi chiamo Giacomo ho trentatré anni e vivo a Bari. Faccio l’impiegato e sono…sono……chi sono?
Sapete, vi avrei potuto raccontare qualsiasi cosa di me, ma oggi ho smarrito per un attimo la strada e sono finito dalla città di Certezza alla città di Incertezza, per cui non so più chi sono.
Ho deciso, quindi, di passare attraverso le righe della coscienza e le percorrerò con te, mio caro lettore, affinché io possa raggiungere il mio posto. Quello giusto, una volta per tutte.
Non ho sempre vissuto nella città di Certezza, il luogo turbolento, fatto di paure e angosce, di cui ho fatto la mia dimora per gran parte della mia esistenza, senza rendermene conto.
Sono certo di aver imboccato la strada che mi ha condotto ad essa quando avevo circa otto, nove anni. Fu a quell’età che incontrai per la prima volta un cittadino di Certezza.
Si chiamava S. ed era un bidello: nel bagno della mia scuola mi mostrò la via oscura della sua città e mi ci buttò praticamente dentro.
Rientrai in me, soffocato dalla paura e non vidi mai più Certezza. Me ne dimenticai completamente, ma qualcosa di essa finì per insediarsi in me, ineluttabilmente, portando la sua oscurità nei miei giorni luminosi di bambino.
Iniziai ad avere delle paure, anche per le cose più sciocche. Sentivo dentro di me dei pensieri che mi imponevano cose del tipo: “smetti di giocare alla PlayStation, altrimenti muori; calca due, tre volte la lettera “C” sul quaderno, altrimenti muori…”
Povero me, bambino afflitto da queste ossessioni che per lui non avevano spiegazione alcuna. Gli anni passarono e il bambino diventò un ragazzino timido e introverso, con i suoi pensieri avvolti dalle nubi della tristezza.
Verso i dodici anni, ai problemi con cui in qualche modo ero riuscito a convivere, costruendo un mio precario equilibrio, si aggiunse un “dramma”: mi accorsi di essere attratto dal mio stesso sesso.
C’era un mio amico, che abitava nel mio stesso palazzo, con cui entrai particolarmente in confidenza e con il quale, talvolta, ho avuto dei contatti fisici, limitati a baci e qualche toccatina.
Ebbi la brillante idea di andare a raccontarlo a mia madre, una donna dalla morale bigotta che rasenta il puritanesimo, la quale mi riempì la testa con ammonimenti volti a farmi intendere che sarei finito dritto in un girone dantesco, aperto appositamente per me.
Che dire? Ho vissuto una vita fatta di restrizioni e paure. Non potevo e non volevo accettare la mia omosessualità che per i miei genitori era qualcosa di inammissibile, una colpa di cui mi ero macchiato e di cui avrei pagato le conseguenze con la castigazione divina.
Ed è qui che, fortunatamente, prendo la strada della psicoterapia che per i miei serviva “a guarire”, mentre per me “ad accettare” il mio essere.
Dopo diversi anni di terapia credetti di ritenermi “guarito”, in quanto avevo finalmente accettato di essere omosessuale e, inoltre, avevo preso consapevolezza dell’abuso subito da parte di quel lurido bidello, evento che, avevo rimosso completamente dalla memoria.
Credendo di essere finalmente scampato alle insidie di quella città chiamata Certezza, decisi di lasciare la psicoterapia e trasferirmi in un’altra città, dove poi avrei trovato il mio attuale lavoro.
Mai cosa più sbagliata fu questa decisione, perché due anni dopo affiorò Certezza di nuovo dalla coltre. E sapete come? Lasciando la mano al mio caro “amico” Seropram: esso mi aveva accompagnato per già sei anni, ma per questioni di salute al fegato e anche, in realtà, per un mio capriccio, mi convinsi di non averne più bisogno.
Ahimè, ebbi una ricaduta e così tornai a Bari, riprendendo la psicoterapia che, per mia scelta, avevo deciso di interrompere.
Niente più problemi relativi all’accettazione della mia omosessualità, in questa “seconda parte” della terapia. Quelli sono argomenti davvero passati. Oserei dire di essere fiero di ciò che sono e spero presto di trovare un ragazzo che sappia amarmi.
C’era, tuttavia, qualcosa di insolito nelle mie nuove problematiche: ipocondrie, tic nervosi, attacchi di panico (tutti sintomi nuovi che non avevano niente a che vedere con la prima parte della terapia) sorti dopo aver tolto il Seropram.
Con l’aiuto del dottore e con una nuova terapia farmacologica ho trattato nuovi argomenti che non credevo potessero essere causa dei miei malesseri.
Fondamentalmente negli anni ho scoperto di essere rimasto sempre vittima della città di Certezza. E sapete perché la chiamo così?
Perché nelle paure, nella timidezza, nella sofferenza ho cresciuto me stesso.
Divenendo succube, abituandomi al malessere e ad essere chi non sono mai stato. Nelle sue tenebre avevo trovato il mio equilibrio, le mie certezze: io ero quello timido; quello che non poteva manifestare le proprie emozioni e ogni sopruso subìto non doveva aveva reazioni. Insomma, sono sempre rimasto apatico alla vita.
E oggi vi dico una cosa. Mi sono smarrito. E non è un brutto giorno, anzi!
Ho lasciato di nuovo il mio “amico” farmaco e ora mi trovo nella città di Incertezza. Mi sento diverso. Non mi riconosco più per quello che ero. Rispondo se mi viene fatto un torto. Mi impunto sulle mie decisioni e non permetto più a nessuno di fare scelte al posto mio.
E sapete una cosa?
Il mio posto è qui, a Incertezza. Dove il futuro me lo costruisco io, con le mie scelte e le mie decisioni. E anche i miei sbagli: l’importante è che siano le mie incertezze e non le certezze di un mondo costruito su di me dagli altri.
Ho finalmente detto addio a quel mondo angosciante di Certezza, ho dato l’addio al farmaco e presto saluterò anche i miei tic perché ho capito che rappresentano tutte le cose non dette, tutte le emozioni non espresse.
Mai più repressioni, allora. Mai.
Giacomo
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