GIUDICARE e SCEGLIERE
GIUDICARE & SCEGLIERE
La paura per la loro distruttività.
Folle di persone, simili, mondi nei mondi, scie multi direzionali di colori, costellazioni di pensieri, intersezioni di cammini, voci confuse, intrecci di sentimenti, di profumi, di storie incastrate, sofferenze sovrapposte, armonie d’ amori, follie di emozioni, tante uguaglianze in quante difformità.
Ci vorrebbe davvero poco per non difendersi dagli altri, sentendoli un po’ noi, percependoli vicini, altri se stessi vicini, vicendevoli noi, invece impariamo a difenderci da tutti, a delimitarci il territorio, perimetrandoci in trincee ci delimitiamo e ci difendiamo e ci attacchiamo da noi stessi.
Cosi descritto sembrerebbe non esistere e non esserci il paradigma buono cattivo, bene e male, ma il male che temiamo dagli altri, è impensabilmente imperante in ognuno di noi, ogni sofferenza covata, inferta o subita, fa temere l’ impensabile, ha le sue ripercussioni che hanno radici in ognuno.
Ogni scelta che operiamo, definisce un confine tra noi e gli altri. È la scelta che crea la frattura che ci rende liberi, tanto vicini, così come atrocemente distanti e dissimili. Almeno chi sceglie interroga il suo numero uno, interpella se e la sua primitiva sensibilità.
La gioia ci unisce, ci aggrega, il piacere ci attrae, il godere ci seduce, la sofferenza temuta invece, inflitta o subita, disgrega, ci lancia in un effetto remball, essa è un jamping verso il vuoto, ci permette di sfuggirci.
La positività slancia il nostro umore in uno slancio fuori cielo, è un distacco oltre le piane dimensioni, il suo potere attrattivo è calamitoso, contaminante ed associativo.
Oltre alla capacità di scelta, che destabilizza le relazioni umani ma possiede tutta una sua dignità, il giudicare invece rappresenta il disgregante per eccellente, rappresenta la presa della distanza e del distacco e la repulsione da ciò che ci è simile.
Ogni persona giudicata diviene severa con se stessa e intransigente con gli altri.
Un giudice per sua natura è colui che è già stato giudicato, ed un giudicato giudicherà negli altri il giudizio subito . Diveniamo degli autentici replicanti generazionali di giudizi automatici fuori luogo, impariamo a prendere le distanze attraverso un atteggiamento altamente involontario.
Il giudizio ci fa resistere agli altri e ci direziona gli altri contro. Si è sulle difensive perché col giudizio ci si sente sotto inchiesta, e agire e pensare si rende complicato, lascia presagire l’ impotenza, l’autostima piega il capo, appare il difetto che non c’era, il giudizio fa errare è ci fa sentire errati, goffi e sbagliati, inadeguati, insoluti, in ginocchio e ripiegati su noi stessi, arrabbiati, frustrati, impulsivi, in debito e in difetto verso la vita.
Il giudizio reprime, è oscurantismo e decadentismo, fa paura, ci spaventa, inorridisce e ci imbruttisce, fa cartoccio e arrosto di noi stessi, ci raggomitola allo stato uterino, è il fomentatore delle ansie e delle incertezze, è l’inibitore e il frenatore di qualsivoglia iniziativa, è il precursore dell’ arretratezza, dell’ esitante e del perfezionismo.
Se c’è un’ origine per la cattiveria, essa risiede nella tendenza persecutoria a giudicare.
Il giudizio è la causa del male sociale se esso diviene pressante e onnipresente, se rappresenta un modello automatico educativo, esso imposta lo stile impedito della relazione.
Il giudicare ha un effetto distruttivo sulle scienze, sulla propria coscienza, sulle prospettive, sul proprio talento e sulla propria salute, genera il distacco e l’indifferenza verso la sofferenza e la morte di chi ne è l’ artefice. Il giudicare interpella il numero due, pende dalle sue labbra, fa appello sempre agli altri.
Se il giudicare è l’origine del male e della malattia, il rispetto per la sensibilità, per le scelte, i sentimenti e le intelligenze altrui, rappresentano e permettono di ritrovare l’attrazione e la piacevolezza verso l’umanità e verso le relazioni.
giorgio burdi
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