Primo contatto con lo psicoterapeuta
Primo contatto con lo psicoterapeuta: una chiamata che cambia la vita
La vita di ognuno di noi è considerabile come la somma di attimi determinanti; l’unione di scelte fondamentali che, sovrapposte, arrivano a delineare un percorso esistenziale unico ed irripetibile. Momenti decisionali volti a rappresentare strade intraprese con coraggio, svolte radicali di una personale ricerca identitaria: la decisione di intraprendere una terapia è uno di quegli istanti cruciali, l’occasione che avvia un percorso di cambiamentoresponsabile prima, e la volontà di portare avanti attivamente gli effetti derivati da questo proposito poi.
Arrivare a contattare un professionista è, a tutti gli effetti, il primo passo da compiere verso il percorso terapeutico: ciò implica il riconoscimento esatto, da parte del paziente, di uno stato di sofferenza ingestibile a cui può porre rimedio solo il supporto di un esperto. La prima telefonata allo specialista, mossa entro un clima confusionale, determina quel passaggio obbligato verso l’incerto, volontà di una richiesta d’aiuto non più marginale, appello, in sostanza, di un dolore che vuole essere ascoltato e compreso nella sua totalità.
L’inizio di un percorso terapeutico è l’incontro di due mondi e visioni differenti; si attiva così un processo in cui si passa da uno stato di estraneità reciproca all’essere “compagni di viaggio”.L’iter che sancisce l’avvio di questa relazione terapeutica sembra essere scandito da tappe significative che spiegano bene il delicato equilibrio su cui regge, almeno inizialmente, un percorso di cura:
1) Disorientamento: il primo contatto verso il terapeuta nasce da un profondo malessere personale a lungo irrisolto, e dalla sola consapevolezza di tale sofferenza insopprimibile si decide di rivolgersi ad uno specialista. L’individuo, nell’esplicitare la richiesta d’aiuto, vivrà comunque uno stato di incertezza che lo accompagna verso l’ignoto, nella speranza che il bisogno di cura potrà essere accolto in modo soddisfacente dall’estraneo;
2) Anticipazione: la ricerca del miglior terapeuta muove da aspettative importanti, da un intrinseco bisogno di cambiamento personale, per tanto la scelta del profilo ideale verterà su aspetti ritenuti importanti dal paziente: chi detiene maggiori esperienze e titoli o chi infonderà, con il suo approccio empatico, maggior fiducia e senso di accoglienza. Riportando ciò nel setting terapeutico è importante, nel porre le fondamenta di un cammino psicoterapico, che sia il terapeuta che il cliente prendano le misure, imparando a conoscersi vicendevolmente al di là delle reciproche aspettative, ciascuno nell’ambito del proprio ruolo all’interno della relazione. In base alla compatibilità tra cliente e terapeuta si creerà un’alleanza particolare, tradotta nella capacità, da parte dei due componenti della diane terapeutica, di collaborare in vista di un obiettivo comune;
3) Prima rottura nel rapporto terapeutico: ogni relazione significativa implica confronti che conducono ad una crescita evolutiva necessaria; così il rapporto terapeutico, magari fin dalla prima seduta, comporta scontri derivanti da opinioni differenti o resistenze alla cura proposta difficili da sottrarre. La saccenza del paziente dovrà venir meno rispetto le direttive imposte dallo specialista, che saprà come meglio orientare e sviluppare quelle risorse interne all’individuo, nell’ottica di un efficace percorso di cambiamento pensato e strutturato su misura. Se l’instaurarsi di un’iniziale soddisfacente intesa tra cliente e terapeuta rappresenta un elemento fondamentale; è altrettanto importante che esista un buon grado di accettazione e rivalutazione delle proprie credenze da parte del paziente, ben disposto rispetto una futura dialettica terapeutica che potrebbe esprimersi in confronti duri ed accesi, sempre tesi allo sviluppo delle proprie potenzialità evolutive;
4) Abbandono e fiducia nella cura: il paziente, dopo aver preso coscienza dei propri limiti e della possibilità reale di un miglioramento curativo, deporrà gradualmente ogni possibile opposizione al trattamento. L’abbandono ottimistico alla terapia e il senso di accoglienza emanato dal professionista determinano la fiducia di un rapporto sano, la cornice ideale dove mettersi in crisi e riscattarsi dal malessere originario. In sintesi, il terapeuta dovrebbe essere in grado di comprendere il vissuto doloroso del paziente e, contemporaneamente, di proporgli una differente esperienza di sé nella relazione terapeutica; in questo modo si origina una nuova visione del mondo e la terapia diviene strumento di effettivo cambiamento. La premessa di fondo, ciò che spinge ad intraprendere e perseguire un percorso terapeutico, è quindi il desiderio di mettersi in gioco, a nudo, per superare il senso di insoddisfazione attuale e conseguire un futuro migliore.
La relazione terapeutica, in tutta la sua evoluzione, si dispiegherà concretamente su una dinamica rischiosa per il paziente: il cambiamento è desiderato, ma anche temuto, perché implica il modificare le proprie abitudini e il modo di rappresentare la realtà utilizzato fino a quel momento. Lottare attivamente contro le proprie reticenze, schiudersi alle infinite possibilità della vita, accettarsi ed esser pronti a mettersi in discussione, in modo profondo ed autentico, annuncia la risoluzione positiva, la rivoluzione di un rapporto che si fa cura e amore senza bugie.
“Il terapeuta è chiamato ad essere, per il paziente, strumento per contattare il diverso, il nuovo, che, una volta conosciuto, non fa più tanta paura; solo così la vita si apre a nuovi scenari e possibilità.”
Sintesi a cura di Maria Arancio
tirocinante di Psicologia Clinica presso lo Studio Burdi
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ContinuaVIVERE IL QUI ED ORA
I pensieri corrono costantemente nella nostra mente su cosa fare domani, cosa fare per pranzo, cosa mi è successo ieri, cosa mi ha detto questa persona mesi fa e con la quale sono ancora offeso… non lasciando quasi spazio al momento presente.
Di solito facciamo le cose in modo automatico: lavare i piatti mentre facciamo la lista della spesa nella nostra mente, lavare l’auto mentre cantiamo una canzone… senza notare veramente le sensazioni di ogni momento. Anche quando andiamo a fare una passeggiata, spesso non sentiamo nemmeno il suono degli uccelli perché siamo immersi nei nostri pensieri.
Tuttavia, vivere pensando sempre al passato o al futuro crea in noi un’enorme sofferenza. Pensare troppo al passato ci provoca impotenza per cose che non possiamo cambiare, senso di colpa per qualcosa che abbiamo fatto o rabbia per qualcosa che qualcuno ci ha fatto in passato, questo ci impedisce di crescere, mentre pensare troppo al futuro crea ansia. Il potere della mente è così grande che se non la controlli, in meno tempo di quanto pensi ti controllerà. I pensieri negativi ti invadono fino a diventare vittima del passato, che non è più nelle tue mani, e del futuro, che quasi mai accade come speriamo.
C’è un libro molto famoso di Eckhart Tolle chiamato “Il potere di adesso”, la cui filosofia si concentra sull’idea di vivere il momento al massimo. L’adesso è l’unica cosa su cui abbiamo il controllo assoluto, così l’ansia e la preoccupazione di non avere il controllo nel futuro si dissipano.
“Non bisogna pensare al futuro se non stiamo bene nel presente. È come correre con una gamba” – Giorgio Burdi
Un buon esercizio per concentrarsi sul momento presente è diventare consapevoli delle sensazioni di ogni momento: la sensibilità della nostra pelle quando tocchiamo un capo d’abbigliamento, i suoni che stiamo sentendo in quel preciso momento, il colore e la consistenza degli oggetti intorno a noi…. Questo esercizio ci permette di concentrarci su questo preciso momento, dissipando i nostri pensieri.
In breve, coltivando e curando il nostro presente, coltiviamo e favoriamo il nostro futuro. Un futuro più sano, più felice e più consapevole dell’importanza di assaporare il momento.
— SPAGNOLO —
Por nuestra mente están continuamente rondando pensamientos acerca de qué haré mañana, qué tengo que hacer de comer, qué me pasó ayer, qué me dijo esta persona hace meses y con la que aún estoy ofendida… sin dejar casi espacio al momento presente. Normalmente hacemos las actividades en automático: fregar los platos mientras repaso la lista de la compra, lavar el coche mientras canto alguna canción en la cabeza… sin realmente darnos cuenta de las sensaciones de cada momento. Incluso a la hora de dar el paseo muchas veces ni escuchamos el sonido de los pájaros porque estamos inmersos en nuestros pensamientos.
Sin embargo, vivir siempre pensando en el pasado o en el futuro crea en nosotros un tremendo sufrimiento. Pensar demasiado en el pasado nos provoca impotencia por las cosas que no podemos cambiar, culpa por algo que hicimos o rabia por algo que alguien nos hizo en el pasado, lo que nos impide crecer, mientras que pensar demasiado en el futuro nos crea ansiedad. El poder de la mente es tan grande, que si no la controlas, en menos de lo que piensas ella te controla a ti. Los pensamientos negativos te invaden hasta convertirte presa del pasado, que ya no está en tus manos, y el futuro que casi nunca sucede como esperamos.
Hay un libro muy famoso de Eckhart Tolle llamado “El poder del ahora”, cuya filosofía se centra en la idea de vivir el momento a plenitud. El ahora es lo único sobre lo que tenemos control absoluto, por lo que la ansiedad y la preocupación por no tener el control en el futuro se disipan.
“Non bisogna pensare al futuro se non stiamo bene nel presente. È come correre con una gamba” – Giorgio Burdi
Un buen ejercicio para concentrarnos en el momento presente es hacernos conscientes de las sensaciones de cada momento: la sensibilidad de nuestra piel al tocar una prenda de ropa, los sonidos que estamos escuchando en ese preciso instante, el color y la textura de los objetos que nos rodean… Este ejercicio nos permite enfocarnos en este preciso instante disipando nuestros pensamientos.
En resumen, cultivando y cuidando nuestro presente, estamos cultivando y favoreciendo nuestro futuro.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
AGISCI
Tutti abbiamo sempre sentito dire che bisogna pensare prima di agire quando si tratta di fare le cose. L’impulsività è sempre stata punita come una cosa negativa, ma non ci è mai stato detto: vai avanti, agisci.
Abbiamo una convinzione radicata che dovremmo pensare prima di agire, che portata all’estremo può influire sulla nostra salute: pensare troppo se fare o non fare qualcosa richiede una quantità enorme di energia e tempo. È vero che abbiamo bisogno di meditare sulle nostre decisioni, ma senza che questo ci costi troppo tempo o ci sfinisca emotivamente, che è quando diventa patologico, soprattutto quando iniziano ad emergere una serie di pensieri ossessivi.
“Se agisci non dai al pensiero (ossessivo) tanto potere e tempo per svilupparsi” – Giorgio Burdi
A volte è necessario “buttarsi in piscina”, senza pensare troppo alle conseguenze dell’azione. In questo modo evitiamo di essere bloccati dall’indecisione e dalla paura di prendere la decisione sbagliata. Molte volte nella vita ci manca il coraggio, o abbiamo paura di affrontare le cose, e finiamo per perdere opportunità, o cose che vogliamo. La paura paralizza.
Agire significa prendere coraggio e non lasciare che la paura guidi la nostra vita o le nostre azioni. A volte, meno pensiamo alle cose, meglio si rivelano. Lasciare che la vita scorra, senza preparare o forzare nulla, ci fa preoccupare meno di ciò che potrebbe accadere e fare semplicemente le cose che abbiamo voglia di fare, senza essere bloccati o paralizzati dai pensieri che ci entrano in testa.
Quindi, pensare prima di agire è un bene, ma fino a un certo punto, nel momento in cui ci accorgiamo che ci stiamo consumando è bene riprendere il controllo della propria vita e agire, sia nel bene che nel male.
Inoltre, raggiungere la capacità di prendere decisioni senza pensarci troppo può aumentare la nostra autostima e la nostra capacità di gestire efficacemente le richieste del nostro ambiente.
“Non dobbiamo pensare tanto, dobbiamo reagire” – Giorgio Burdi
— SPAGNOLO —
Todos hemos escuchado siempre que hay que pensar antes que actuar a la hora de hacer las cosas. La impulsividad siempre se ha castigado como algo malo, pero nunca nos han dicho: adelante, actúa.
Llevamos arraigada la creencia de que debemos pensar antes de actuar, que llevada al extremo puede afectar a nuestra salud: pensar demasiado si hacer o no una cosa nos quita una cantidad tremenda de energía y tiempo. Es cierto que tenemos que meditar nuestras decisiones pero sin que nos cuesten demasiado tiempo o desgaste emocional, que es cuando se convierte en patológico, sobretodo cuando empiezan a surgir una serie de pensamientos obsesivos.
“Si pasas a la acción no le das tanto poder ni tiempo ni al pensamiento (obsesivo) para que se desarrolle” – Giorgio Burdi
En algunas ocasiones hace falta “lanzarse a la piscina”, sin pensar demasiado las consecuencias de la acción. De esta manera evitamos quedarnos bloqueados ante la indecisión y el temor a tomar la decisión inadecuada. Muchas veces en la vida no tenemos valor, o nos da miedo afrontar las cosas, y terminamos perdiendo oportunidades, o cosas que deseamos. El miedo paraliza.
Tomar acción significa armarse de valor y no dejar que el miedo guíe nuestra vida o nuestras acciones. A veces, cuanto menos pensamos las cosas, mejor nos salen. Ese dejar fluir de la vida, no preparar ni forzar nada, nos hace preocuparnos menos por lo que pueda pasar y simplemente hacer las cosas que nos apetece hacer, sin dejarnos bloquear o paralizar por los pensamientos que se nos vienen a la cabeza.
Por lo tanto, pensar antes de actuar es bueno pero hasta cierto punto, en el momento en que notemos que nos estamos desgastando demasiado es bueno retomar el control de tu vida y tomar acción.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia España
Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
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RELAZIONI AMBIVALENTI
Le relazioni con gli altri sono una parte fondamentale della nostra vita, e la qualità di queste relazioni influenzerà notevolmente la nostra salute mentale e il nostro equilibrio.
Dovremmo coltivare le relazioni che sono sane per noi, e che ci portano gioia, pace e tranquillità, e allontanarci da quelle che prosciugano la nostra energia. Tuttavia, ci sono alcune relazioni che non sono così facili da identificare, essendo sia gratificanti che dolorose per noi. Una frase che potrebbe descrivere tali relazioni sarebbe “ti amo e ti odio”.
Uno dei motivi principali per cui l’ambivalenza emotiva può essere così dolorosa è che cerchiamo di liberarcene. Cerchiamo di persuaderci che abbiamo solo sentimenti positivi o negativi verso qualcuno, ma questa è un’idea sbagliata.
Un chiaro esempio sono le relazioni familiari. In alcune famiglie, i genitori sono molto esigenti con i loro figli, che causa loro un’enorme ansia e problemi correlati. Un parente molto invasivo riempirà costantemente il bambino di rimproveri (non vestirti così, non ti sta bene, quella persona non va bene per te, dovresti studiare di più, non uscire oggi…) o di paragoni costanti con gli altri, ma allo stesso tempo usa la scusa “te lo dico perché ti voglio bene, e voglio il meglio per te” che crea una sensazione di ambivalenza nel bambino. “Mi fa male, ma perché mi ama”.
Un altro esempio familiare sarebbe il fatto che alcuni genitori fanno sentire i loro figli in colpa se escono troppo con gli amici, se iniziano a frequentare un ragazzo o lasciano il paese per un po’ di tempo per studiare, creando la concezione di “non divertirti, perché se ti diverti, mi lascerai”, creando nel bambino un sentimento di ansia e ambivalenza a causa dell’amore che provano per i loro genitori ma il desiderio di volersi individualizzare come persona.
Un altro esempio di rapporto nevrotico nelle relazioni di coppia sarebbe una relazione in cui uno dei partner non vuole compromessi, ma allo stesso tempo richiede costantemente l’attenzione del partner e si risente della frequentazione dell’altro partner. Tuttavia, quando si chiede più impegno nella relazione, io scappo. La frase sarebbe “Ci sto, non ci sto”.
Un modo per concludere queste relazioni nevrotiche sarebbe quello di imparare a identificare questi sentimenti di ambivalenza e porre dei limiti. Spesso è difficile perché queste relazioni abbassano l’autostima, ma dobbiamo essere consapevoli delle nostre risorse e imparare a usarle. La comunicazione è molto importante in tutte le relazioni, e farsi rispettare è qualcosa di fondamentale su cui dobbiamo lavorare se vogliamo mantenere relazioni sane e stabili in futuro.
— ESPAÑOL —
Las relaciones con los demás conforman una parte muy importante de nuestra vida, y la calidad de ellas influirá en gran medida en nuestra salud mental y equilibrio.
Debemos cultivar las relaciones que son saludables para nosotros, y nos aportan alegría, paz y tranquilidad, y alejarnos de las que drenan nuestra energía. Sin embargo, hay algunas relaciones que no son tan fáciles de identificar, siendo para nosotros tanto gratificantes como dolorosas. Una frase que podría describir este tipo de relaciones sería “te amo y te odio”.
Una de las principales razones por las que la ambivalencia emocional puede ser tan dolorosa es que tratamos de deshacernos de ella. Intentamos persuadirnos a nosotros mismos de que solo tenemos sentimientos positivos o negativos hacia alguien, pero es una idea errónea.
Un claro ejemplo son las relaciones familiares. En algunas familias, los padres son muy exigentes con los hijos, los que les causa una tremenda ansiedad y problemas relacionados. Un pariente muy invasivo llenará constantemente al hijo de reproches (no te vistas así, no te favorece, esa persona no te conviene, deberías estudiar más, hoy no salgas…) o constantes comparaciones con los demás, pero a la vez utiliza la excusa de “te lo digo porque te quiero, y quiero lo mejor para ti” lo que crea en el hijo un sentimiento de ambivalencia. “Me hace daño, pero porque me quiere”.
Otro ejemplo familiar sería el hecho de que algunos padres hacen sentir culpables a sus hijos si salen demasiado con amigos, si empiezan a salir con un chico o dejan el país por un tiempo para estudiar, creando la concepción de “no disfrutes, porque si disfrutas, me dejas”, creando en el hijo una sensación de ansiedad y ambivalencia por el amor que siente hacia sus padres pero el deseo de querer individualizarse como persona.
Otro claro ejemplo de rapporto nevrotico en relaciones de pareja sería una relación en la que una de las personas no quiere comprometerse, pero a la vez demanda constantemente la atención de la pareja y le molesta que salga con otras personas. Sin embargo, cuando tú demandas más compromiso en la relación, yo huyo. La frase sería “Estoy, no estoy”.
Una manera de acabar con estas relaciones neuróticas sería aprender a identificar estos sentimientos de ambivalencia y poner límites. A menudo es difícil porque este tipo de relaciones te bajan la autoestima, pero tenemos que ser conscientes de nuestros propios recursos y aprender a utilizarlos. La comunicación es muy importante en todas las relaciones, y hacernos respetar es algo fundamental que tenemos que trabajar si queremos mantener relaciones sanas y estables en el futuro.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
LA REALTÀ È LA NOSTRA CURA
Spesso non vediamo la realtà così com’è, ma attraverso occhiali che proiettano le nostre credenze, prospettive, illusioni e, in generale, la nostra esperienza di vita. È per questo che le persone reagiscono in modo diverso alla stessa situazione.
Abbiamo una serie di schemi attraverso i quali analizziamo le nostre esperienze quotidiane, che possono essere più o meno rigidi. Per esempio, a seconda delle nostre convinzioni e della nostra autostima, quando qualcuno dice “Sei bella oggi” possiamo pensare che sia un bel complimento, o che la persona stia mentendo o ridendo di noi. A seconda di quanto siano adattivi i nostri schemi, agiremo e penseremo in modo più o meno sano.
Essere consapevoli che ci sono sempre diverse prospettive sulla stessa situazione ci fa allontanare dal manuale che avevamo stabilito e agire in un modo che è più vantaggioso per noi. Quando ci succede un qualsiasi evento, l’emozione che proviamo dipende dalla nostra interpretazione della situazione. A seconda dell’interpretazione che ne diamo, questo ci farà sentire in un certo modo e, di conseguenza, il nostro comportamento tenderà in una direzione o nell’altra.
I nostri pensieri negativi e le nostre preoccupazioni spesso ci fanno soffrire più del dovuto: essendo intrusivi, ricorrenti, esagerati… Ci sentiamo in una “nuvola” che offusca la nostra visione e non possiamo vedere oltre.
Quindi come possiamo controllare le nostre emozioni? Cosa possiamo fare per cambiare il modo in cui ci sentiamo? La risposta sta nell’imparare a cambiare il modo in cui interpretiamo gli eventi, cioè a cambiare il discorso interno che abbiamo con noi stessi.
Chiediti le seguenti domande: “Quello che sto pensando è davvero così?”, “Tutti gli altri lo capirebbero allo stesso modo?”, “Cosa penserebbe la persona che più ammiro della stessa situazione?”, “E il mio migliore amico?”
Non credere a tutto ciò che pensi: prima di tutto sii consapevole che i nostri pensieri sono solo questo: pensieri. Non sono la realtà. I nostri pensieri e le nostre preoccupazioni sono la nostra interpretazione ed elaborazione della realtà… non la realtà stessa.
Pertanto, dobbiamo imparare a identificare le nostre emozioni negative quando appaiono, in modo che quando notiamo quel segnale di avvertimento, possiamo fermarci un momento e cercare il pensiero che ci ha portato a sentirci in quel modo, e poi cercare un modo di pensare alternativo più adattivo. Questo non è un compito facile, poiché siamo profondamente radicati nel nostro sistema di credenze e ci vuole pratica e sforzo per cambiarlo.
— ESPAÑOL —
A menudo no vemos la realidad tal y como es, sino a través de unas gafas que proyectan nuestras creencias, perspectivas, ilusiones y, en general, nuestra experiencia de vida. Es por este motivo que las personas reaccionamos de manera diferente ante una misma situación.
Tenemos una serie de esquemas a través de los cuales analizamos nuestras experiencias cotidianas, que pueden ser más o menos rígidos. Por ejemplo, según nuestras creencias y nuestra autoestima, cuando alguien nos dice “Hoy estás muy guapa” podemos pensar que es un agradable cumplido, o que esa persona está mintiendo o se está riendo de nosotros. Dependiendo de lo adaptativos que sean nuestros esquemas actuaremos y pensaremos de forma más o menos saludable.
Ser conscientes de que siempre hay varias perspectivas ante una misma situación nos hace alejarnos del manual que teníamos establecido y actuar de manera más beneficiosa para nosotros. Cuando nos sucede cualquier cosa, la emoción que surge se basa en la interpretación que cada uno hace de la situación.
¿Cómo podemos entonces controlar nuestras emociones? ¿Qué podemos hacer para cambiar la manera en la que nos sentimos? La respuesta radica en aprender a cambiar la forma que tenemos de interpretar los acontecimientos, es decir, modificar el discurso interno que tenemos con nosotros mismos.
Plantéate las siguientes cuestiones: “eso que estoy pensando, ¿es realmente así?”, “¿todo el mundo lo entendería igual?”, “¿qué pensaría de esa misma situación la persona que más admiro?”, “¿y mi mejor amigo?”
Tenemos que tener siempre presente que nuestros pensamientos están condicionados por nuestras creencias y que no necesariamente reflejan la realidad.
Por ello, tenemos que aprender a identificar por qué aparecen las emociones negativas y cuales son mis esquemas y creencias que provocan estas emociones, con el fin de modificarlos de la manera más adaptativa posible.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
LE CONFERME
Siamo spesso influenzati da ciò che pensano le persone intorno a noi. Fin dalla giovane età, le nostre famiglie ci aiutano a prendere decisioni importanti con la motivazione che sanno cosa è meglio per noi, creando una sorta di dipendenza dalla ricerca di conferme. Questa dipendenza si estende a molte aree della vita e non solo al processo decisionale: chiediamo alla nostra famiglia o agli amici anche quali vestiti indossare, cosa comprare o quale taglio di capelli ci starebbe meglio. Quante volte abbiamo smesso di comprare un capo di abbigliamento che ci piaceva semplicemente perché non piaceva alla nostra amica/madre/compagna?
Con il passare degli anni, questa ricerca di conferme esterne dovrebbe diventare interna: prendere decisioni perché è così che mi sento. In alcune persone questa transizione avviene, ma in altre rimane la conferma esterna. Questa transizione è strettamente legata all’autostima. Le persone che hanno fiducia in se stesse, nelle loro capacità e abilità di ragionamento sono più propense a cercare conferme interne, mentre le persone che non hanno fiducia in se stesse e nelle loro capacità decisionali sono in costante bisogno di approvazione dagli altri. Questo su larga scala può essere pericoloso perché ci rende facilmente manipolabili agli occhi degli altri, oltre a perdere la capacità di gestire la nostra vita.
Oltre all’autostima, anche l’ambiente gioca un ruolo importante nella ricerca di conferme. I genitori che, fin dalla più tenera età, incoraggiano l’autonomia dei loro figli, li consigliano nel prendere decisioni ma non le impongono, e permettono loro il loro spazio personale incoraggiano la ricerca di conferme interiori. Al contrario, i genitori che sono sempre sopra i loro figli e non li aiutano a lavorare sulle loro capacità di ragionamento incoraggiano la ricerca di conferme esterne.
Spesso, le persone che hanno bisogno di conferme esterne portano questo bisogno di approvazione nella terapia. Hanno continuamente bisogno che lo psicologo li sostenga nelle loro decisioni e dica “hai ragione”, ma una persona esterna non può dire se hai ragione in quello che senti.
Un altro pensiero errato è credere che gli altri siano in possesso della verità. Le persone che hanno bisogno di approvazione credono più alle opinioni esterne che alle proprie. Nessuno ci conosce così bene come noi conosciamo noi stessi, e spesso accade che si formino opinioni sbagliate senza basi razionali. Pertanto, non dovremmo dare tanto potere a ciò che gli altri pensano di noi, perché potrebbero sbagliarsi.
È importante essere consapevoli del modello che abbiamo adottato e lavorare su di esso. Prenditi la responsabilità dei tuoi errori e dei tuoi successi. Il punto è trovare un equilibrio in modo che il vostro benessere personale non dipenda dall’opinione degli altri.
— ESPAÑOL —
A menudo nos dejamos influenciar por lo que piensa la gente de nuestro alrededor. Desde pequeños, nuestras familias nos ayudan a tomar decisiones importantes con la excusa de que ellos saben lo que es mejor para nosotros, creando una especie de dependencia a buscar la confirmación. Esta dependencia se extiende a muchos ámbitos de la vida y no sólo a la toma de decisiones: preguntamos a nuestros familiares o amigos hasta qué ropa ponernos, qué comprar, o qué corte de pelo nos sentaría mejor. ¿Cuántas veces hemos dejado de comprarnos una prenda de ropa que nos gustaba simplemente porque a nuestro amigo/madre/pareja no le gustaba?
Conforme pasan los años, esta búsqueda de la confirmación externa debería de convertirse en interna: tomar decisiones porque así las siento. En algunas personas esta transición se lleva a cabo, pero en otras perdura la confirmación externa. Esta transición está muy relacionada con la autoestima. Las personas seguras de sí mismas, de sus habilidades y su capacidad de raciocinio, tienden más a buscar las confirmación interna, mientras que las personas que no están seguras de sí mismas ni de su capacidad a la hora de tomar decisiones necesitan continuamente la aprobación de los demás. Esto a gran escala puede ser peligroso porque nos hace fácilmente manipulables a vista de los otros, así como de perder la capacidad de manejar nuestra propia vida.
Así como la autoestima, el ambiente también juega un papel bastante importante en la búsqueda de la confirmación. Los padres que, desde pequeños, fomentan la autonomía de sus hijos, les aconsejan a la hora de tomar decisiones pero no las imponen, y les dejan su espacio personal fomentan la búsqueda de la confirmación interna. Por el contrario, los padres que están siempre encima del niño y no les ayudan a trabajar su capacidad de raciocinio fomentan la búsqueda de la confirmación externa.
A menudo, las personas que necesitan la confirmación externa transportan esa necesidad de aprobación a la terapia. Continuamente necesitan que el psicólogo les apoye en sus decisiones y les diga “tienes razón”, pero una persona externa a ti no puede decir si tienes razón en lo que tú sientes.
Otro pensamiento erróneo es creer que los demás están en la posesión de la verdad. Las personas con necesidad de aprobación creen más en las opiniones exteriores que en las suyas propias. Nadie nos conoce tan bien como nosotros, y a menudo sucede que se forman opiniones equivocadas sin bases racionales. Por ello, no debemos darle tanto poder a lo que otros piensen de nosotros, porque pueden equivocarse.
Es importante ser conscientes de qué modelo hemos adoptado y trabajarlo. Hazte responsable de tus propios errores y de tus aciertos. La cuestión es encontrar un equilibrio para evitar que el bienestar personal dependa de la opinión de los demás.
Maria Luz Romero
Laurenda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
ContinuaLa vita amorosa: tra desiderio e turbamento
La vita amorosa
tra desiderio e turbamento
C’è un bisogno innato nell’uomo di misurarsi col limite e con il conflitto tanto da cercarlo, da voler toccare il fondo, nella convinzione che solo in un momento così basso un uomo rivela, a se stesso e agli altri, esprime tutta la propria ricchezza interiore costretto ad entrare nel profondo di se.
Un’altra testimonianza di questo incoercibile bisogno riguarda il versante dell’esperienza amorosa, quello che potremmo definire ’l’abisso degli amori perturbanti’.
Egli avverte il bisogno ineluttabile di inseguire amori letteralmente sconvolgenti, che attraggano e sgomentino se stesso sulla base di una ipotetica serenità e su una ricerca di emozionabilità che lascino intravedere una felicità immensa, spaventosa per il pensiero, perché svela una felicità che la vita non poteva seguirla.
La donna incarna nella realtà esterna un’immagine che ogni uomo porta da sempre dentro di sé, l’immagine della sua anima.
Come un uomo incarna nella realtà esterna una fisicità che ogni donna porta in se come immagine di sicurezza. È in questo binomio l’origine dell’ attrazione amorosa.
Amare significa proiettare questa immagine su una creatura reale. Bisogna passare attraverso questa esperienza per capire a fondo il pericolo dell’amore, l’opportunità che esso ci offre è di sperimentare un turbine di emozioni profonde e contraddittorie, che difficilmente potrebbero emergere in altre circostanze.
La felicità a cui si accede è, spaventosa’, per una condizione considerata invidiabile per le diversità che sono allo stesso tempo, affascinanti e tremende e che conducono nel campo del ’perturbante’ dell’esperienza amorosa.
Il perturbante rivela ciò che è tenuto nascosto e trasforma il noto in ignoto, il reale in fantasma inquietante. I fantasmi, i mostri che popolano la narrativa, non sono che personificazioni del nostro mondo interiore invisibile, immaginativo, è tutto ciò che sarebbe dovuto rimanere nascosto, segreto, e che invece affiora alla coscienza attraverso il perturbante.
Ci turbiamo per ciò che supponiamo esistere come fantasma e che vediamo a tratti e solo il tempo della relazione darà ragione di esistere.
Nell’esperienza amorosa dell’uomo l’apparizione della donna risveglia tutto un universo di emozioni, di intuizioni profonde, di corrispondenze misteriose, di trasformazioni interiori, che lo turbano e che, mentre lo affascinano, lo aprono alla vertigine, al presentimento inquietante che la vicenda amorosa trasporti, chi la vive, in una regione sconosciuta e irta di pericoli: Da quando si ama ci si sente felice, ma, nello stesso tempo, perduto… per l’ altro.
La passione, per la donna o per l’uomo, avvicina a questo abisso perturbante, e così è per ognuno di noi. Quando una figura femminile o maschile si installa da protagonista nella nostra immaginazione, finisce col monopolizzare non solo le nostre emozioni e i nostri desideri, ma rappresenta l’ emancipazione e l’annientamento di se.
“La donna, nella sua bellezza tremenda, è insieme possibilità trasformatrice e vortice, promessa e minaccia divoratrice, vita e morte. Il suo essere delizioso ha fatto sorgere nell’ animo qualcosa d’immenso nel quale potersi perdere, perdere se stesso, le contingenti progettualità, ella rappresenta la follia, un sogno appetibile ed insensato che non sa dove posarsi; perché il suo candore lo induce a credere che sia pericoloso, che sia misterioso e terribile avventurarsi nella sua vita” (Bousquet, Lettere a Fany [epistolario inedito], 1927-37, 13).
È un errore allontanare certe immagini seduttive, ma inquietanti, che si affacciano alla nostra mente.
Esse possono essere le immagini ancestrali della nostra bella o frustrata infanzia che ci riportano in vita la figura della mamma forte, delicata, misteriosa e, concreta e bella.
Abbiamo bisogno di accoglierle, dar loro voce. Nella terminologia junghiana, si tratta di confrontarci con le ombre dell’ inquietudine con la parte più oscura del nostro essere, con l’aspetto “notturno” della nostra personalità, con la carica dirompente delle emozioni per poter crescere, per scorrere dall’ oblio, al colore di certe bellezze.
L’educazione che abbiamo ricevuto ci impone un controllo continuo delle nostre dinamiche d’ombra, e in definitiva delle nostre emozioni, sin dall’infanzia. Il bambino viene apprezzato in relazione allo sviluppo delle sue capacità cognitive, alla razionalità e all’efficienza, mentre la sua vita emozionale non solo viene sottovalutata, ma spesso biasimata o addirittura punita.
Nella repressione di queste istanze si celano, naturalmente, le paure dell’adulto. Il bambino si accosta al mondo delle emozioni, per lui in larga parte ancora poco conosciute, con molta più naturalezza e spontaneità dell’adulto, solo attraverso il gioco riesce ad accedere a una comprensione ’naturale’ dei misteri della vita.
Il sesso, la morte, la nascita sono eventi che nell’adulto si associano a emozioni perturbanti, mai completamente sondate e analizzate.
La condizione amorosa intacca la corazza difensiva dell’Io, permettendo all’uomo di giocarsi in tutte le proprie sfaccettature, anche le più imbarazzanti, così come avviene nel lavoro analitico.
Nella terapia, è l’Eros la forza che smantella le difese del paziente e gli permette di sentirsi vivo sulle difese degli imbarazzi.
Lungo la pratica analitica di consente di riconoscere subito l’atteggiamento specifico difensivo del paziente.
La difesa consiste il più delle volte nella razionalizzazione e giustificazione degli eventi, cioè nel riordinarli secondo un tracciato logico che li rende coerenti e razionali al mondo, così da illudersi di poterli controllare.
L’analista dentro di sé sorride, perché sa bene che la funzione di certe elucubrazioni mentali è proprio quella di imbrigliare emozioni e sentimenti a processi di razionalizzazioni che, lasciati emergere liberamente, potrebbero produrre effetti rovinosi; ma sa anche che quel timore è infondato perché nel setting si stabilisce un vincolo profondo che unisce analista e paziente, una coppia di cui l’uno, addestrato a navigare in mari burrascosi, riesce a guidare, l’ altro timoroso portato a lasciarsi condurre dalla diffidenza alla fiducia in se.
giorgio burdi
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