L’ INSICUREZZA
L’ INSICUREZZA
Come affrontarla: una via sferrata, a piccoli passi, verso la felicità .
Epicuro morì in seguito a delle complicanze di una calcolosi renale. Gli scritti del tempo ci raccontano di spasmi violentissimi che non turbarono minimamente il filosofo, il quale, accortosi che si stava avvicinando l’ora della fine chiese un bicchiere di vino e una tinozza d’acqua calda, per fare un bagno. Quindi spirò serenamente. L’episodio sintetizza l’estrema coerenza con ciò che aveva insegnato ai suoi discepoli: costruirsi un animo sereno, riuscendo a gestire al meglio, i dolori del corpo e dell’anima. Qualche anno prima, aveva indirizzato una lettera al figlio*, Meneceo, dove, in pochissime righe, spiegava come l’uomo saggio (σοφός) potesse avere accesso alla serenità, cercando di non farsi trascinare dalle ansie, dalle inquietudini, dai disturbi (διαταραχθήσηι) derivanti dal mondo e dai desideri irrealizzabili. Mèta del pensiero era il raggiungimento dell’aponia (assenza del dolore del corpo) e dell’atarassia (assenza di turbamenti dell’anima) fondamenti dei precetti tramandati in questa “Lettera sulla felicità”, riassumibile nel rimedio del “tetrafarmaco”, ovvero, quattro precise prescrizioni su come liberarsi dalle catene dell’angoscia:
- Non cedere alla superstizione (paura degli dei e di un destino incontrollabile).
- Non vivere nell’angoscia della morte (se c’è lei non ci siamo noi).
- Non temere il dolore in ogni sua forma (se è forte è anche breve, se è cronico, il corpo lo riconosce)
- Liberi da queste paure, scopriremo il piacere di vivere e raggiungeremo la felicità (εὐδαιμονία).
Il pensiero di Epicuro, frainteso ed osteggiato per secoli, venne considerato da diverse scuole di pensiero, solo come una teorizzazione del piacere incontrollato e di godimento dissoluto, fine a sé stesso. Le sue teorie, in realtà, dicevano altro. Il bene sommo è raggiungibile con misura calcolata che vaglia e prende in considerazione tutte le conseguenze delle proprie azioni. Egli sollecita ad un aumento qualitativo del piacere, derivato da una riflessione costante sui desideri e sui bisogni naturali (e necessari) che ci abitano; invita a lottare per quello che torna utile alla nostra salute fisica e mentale, solo così si potrà conquistare una vita felice e tranquilla: “Vivrai come un dio tra gli uomini, perché non sembra nemmeno mortale l’uomo che vive tra beni (ἀγαθοῖς) immortali”. (Ep. LM 135).
La filosofia di Epicuro, alla fine, non avalla nessun eccesso, ma, dipinge un cammino d’ascesa, quasi fosse una di quelle vie ferrate che si trovano in montagna: scale impervie che consentono a chi le percorre di gustare luoghi incontaminati e panorami rarissimi; luoghi in cui l’anima respira e si innalza. Questi percorsi richiedono una preparazione sia fisica che psicologica; non è proprio l’alternativa trendy, alla gita fuori porta domenicale. Scalatori esperti hanno stilato alcune indicazioni spicciole per i principianti, ed esse, alla lontana, sembrano racchiudere i principi del tetrafarmaco epicureo.
1. Tieni conto del meteo; utilizza un equipaggiamento adeguato.
Gli dei, nella nostra società si son trasformati, sebbene social e digitalizzazione progressiva riescano a dettare regole dell’etica e dell’estetica, restano in noi alcune compulsioni medievali, attraverso le quali tentiamo di dirigere e interpretare il destino e il futuro. Alla fine, si rivelano solo comandamenti assurdi di divinità che ci siamo imposti. Il nostro cuore sarà capace sempre di suggerirci cosa fare e come intraprendere un cambiamento radicale che, ad ogni età e in ogni circostanza, è sempre attuabile. L’accettazione dei propri limiti e il riconoscimento dei propri fallimenti (Carles Pepin – Il magico potere del fallimento – Garzanti 2017), è un buon inizio per iniziare il cammino.
2. Controlla gli ancoraggi e l’imbracatura
Dove stiamo mettendo il piede? Dove fissiamo il moschettone per la salita? Quali sono le condizioni del terreno? Metaforicamente, queste domande possono essere adattate ai giorni che stiamo vivendo. Tutti, ultimamente, ci siamo scontrati con il concetto di morte. “Il pugno della pandemia ha incrinato lo specchio narcisistico dei nostri assetti psicologici e sociali” (V.Lingiardi – Arcipelago N. – Einaudi 2021). La reazione ad una paura collettiva ha portato verso una chiusura, conclamata o no; patologica o meno, su noi stessi. Andrebbe recuperata, anche attraverso campagne di sensibilizzazione promosse dalle istituzioni (!!!), la dimensione psicologica dei singoli. “La consapevolezza del nostro valore, il bisogno di essere amati e riconosciuti, la capacità di tollerare le frustrazioni e di regolare l’autostima sono tra le principali componenti del nostro equilibrio psichico. Determinano il colore delle nostre relazioni e costituiscono il livello di sicurezza e piacere delle nostre vite” (Ibidem). La morte non c’è quando noi viviamo, diceva Epicuro e interessarsi a verificare il senso della propria vita è già un po’ uscire da un lockdown che mentalmente, per molti, non è terminato.
3. Mantieni la giusta distanza
“L’amore non è estate; l’amore è superare l’inverno” (Sara Rattaro – La giusta distanza – Sperling & Kupfer 2020). La citazione non è casuale, proviene da un racconto che si sofferma sul dolore umano vissuto dal singolo e dal gruppo. La lettura breve e scorrevole, apre ad un interrogativo comune a molti filosofi e sociologi contemporanei: la nostra è diventata, ormai, una società algofobica che impegna ogni sua risorsa, per rigettare ogni forma di dolore, sconfessando ciò che già nell’antichità era considerato come assodato: “πάθει μάθος”, si diceva. “A Zeus che ha avviato i mortali a essere saggi, che ha posto come valida legge “saggezza attraverso il dolore” (Eschilo – Agamennone). Crescere attraverso il dolore che, se ben recepito, è strumento di formazione personale; come uno scalpello in mano all’ artista che toglie parti eccedenti di materia, per produrre nuove bellezze. “Il dolore non è una sensazione soggettiva che rimanda a una mancanza, bensì un concepimento, anzi una concezione dell’essere. Il dolore è dono”. (Byung-Chul Han – La società senza dolore – Einaudi 2021). Soprattutto, riprendendo Epicuro, dovremmo valutare dolori e piaceri, riuscendo a mantenere su di essi una giusta distanza, un “giusto calcolo” che ci faccia valutare di volta in volta, dove ci condurrà la sofferenza che stiamo vivendo. Il travaglio ha sempre un termine e quel termine dovrà trovarci migliori, altrimenti patire non avrà avuto senso.
Il lavoro è difficile, specialmente per chi sperimenta dolori e difficoltà improvvisi e si vede bloccato nei sentimenti e nelle emozioni. Perdite improvvise, brusche diagnosi, eventi inaspettati, traumi ancora aperti metteranno sempre a dura prova la nostra personalità ed ogni nostro nobile pensare. Mettersi a giusta distanza dagli avvenimenti è credere che da qualche parte, in fondo al nero della nostra notte, esiste, nonostante tutto, l’antitesi a questo dolore, una gioia che sta aspettando solo noi, qui – ora – su questa terra: “In tempi che falciano, non è vergogna sentire frammenti di gioia e dedicarli a chi soffre, anche a noi, certamente, ma è difficile, anche se non impossibile che un postino scriva a sé stesso. A dire il vero, certe volte io mi scrivo delle mail in cui racconto a me stessa come sto, mi faccio gli auguri, mi ravvivo e mi fiancheggio…come farebbe una nonna con una nipotina a cui vuole spiegare il dolore.” (Chandra Candiani – Questo immenso non sapere – Einaudi 2021).
4. Avanza a piccoli passi verso la vetta
“Non pretendere mai di fare il salto nell’ignoto, di rinascere di colpo un mattino. Utilizzare le cicche della sera prima e convincersi che il tempo – il prima e il poi – è soltanto una fissazione. Ma soprattutto non fare mai il serpente, non rigettare mai la pelle: poiché, che cosa ha l’uomo di proprio, di vissuto, se non ciò ch’è appunto già vissuto? Ma tenersi in equilibrio, perché che cosa ha l’uomo da vivere, se non appunto ciò che ancora non vive?”. (Cesare Pavese – Il mestiere di vivere – Einaudi 2014). Tenersi in equilibrio e avanzare. È la superstizione, il senso della morte, la nostra percezione del dolore che, talvolta, ci impediscono di fare passi avanti. C’è ancora qualcosa di non vissuto per cui vale la pena di procedere. Jung ripeteva che “Nulla è più facile del continuare a percorrere vie infantili o di farvi ritorno.”. Arrendersi, sedersi, cedere al sintomo e non al significato che esso nasconde è un’eredità genitoriale che dev’essere scardinata. La psicoterapia (singola o di gruppo) dà al paziente una nuova eredità, una nuova famiglia e si prende carico anche delle fasi di apatia e stanchezza che sembrano rallentare i progressi del paziente. Non ci sono soluzioni immediate e indipendenti da noi, sarebbe falso dichiararlo; pazienza e perseveranza portano alla vetta ed “Una volta raggiunto questo stato, ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell’animo e del corpo”. (Epicuro LM 128).
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Le immagini scelte per questo articolo sono dell’illustratore Guy Billout e fanno capo ad una sua raccolta chiamata “FutureView: Gaining Perspective on the Rising Waves of Change” (acquisire una prospettiva sulle onde crescenti del cambiamento). Vuole essere una metafora del nostro lavoro psicoanalitico e della forza costante che proviene dai gruppi di terapia. Riferendoci allo scrutatore sulle onde del mare del mare in tempesta, sappiamo, come singoli e come membri di un gruppo, che la psicoanalisi permette di scorgere meglio quando arriva il tempo del cambiamento. È dalle onde più impetuose e violente che vediamo il futuro. E questi, il più delle volte, sembra darci ragione.
*Gli studiosi sono tutt’oggi interdetti sull’attribuzione della lettera; per alcuni, Meneceo fu solo uno dei discepoli del Keros (scuola epicurea), in questa sede, però, si è preferito considerarlo, figlio.
Luca Anaclerio
ContinuaIL PROBLEMA È LA SOLUZIONE
IL PROBLEMA È LA SOLUZIONE.
Quando tocchi il fondo, inizia la salita.
“Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e ad uscirne vivo.
“Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”
così recita il passo di un libro dello scrittore giapponese Haruki Murakami, ed è così che mi sento io, solo che io so come ho fatto ad attraversare la tempesta: con la psicoterapia di gruppo.
Ero in uno stato di profonda prostrazione fisica e psicologica, a causa della gravissima e improvvisa crisi del mio matrimonio, in preda ad una grande sofferenza interiore che mi logorava.
Una vita intera trascorsa con un’unica donna da quando ero solo un’adolescente, una donna che aveva scaricato su di me delle problematiche sessuali che io, per inesperienza, per insicurezze profonde e anche per scarsa autostima non ero riuscito ad affrontare e che avevo subito per anni.
Ad un tratto lei sembra averle risolte con il suo amante e, da quel momento in poi, sono stato offeso, respinto, buttato nella pattumiera, vilipeso nei miei sentimenti più profondi, lasciato in mezzo ad una strada perché ormai inutile, sentendomi ripetere come un mantra “rifatti una vita, perché io non ti voglio più!”, così, all’improvviso.
Io rifarmi una vita? Io che in vita mia non avevo mai dormito se non con lei, io che dipendevo completamente da lei, io che non avevo una mia identità al di fuori della mia famiglia.
Io che, purtroppo, continuavo ad avere quelle insicurezze che poi avevano portato al fallimento del mio matrimonio. Ero disperato, distrutto, mi vedevo solo, in preda ai miei mostri, che popolavano notti insonni, contro cui nulla potevano gli ansiolitici.
Fu così che ho deciso con coraggio di rivolgermi al dr.Burdi e alla psicoterapia, sono trasecolato quando mi è stata proposta la psicoterapia di gruppo, la ritenevo assurda, ma è stato proprio lì, nel rispecchiamento con gli altri che ho trovato la forza di andare avanti.
Speravo di salvare il mio matrimonio, non ce l’ho fatta, ma, cosa molto più importante, ho salvato me stesso. Ho guardato in faccia le mie paure, le mie insicurezze, ho creduto nel gruppo e nello psicoterapeuta anche quando non ci credevo, ho eseguito il percorso anche quando non ne ero convinto, solo così ho creduto in me stesso.
Nel giro di alcuni mesi ho ottenuto qualcosa che forse non avrei mai ottenuto, se non dopo anni di sofferenza. Ho capito che il mio problema era la soluzione, sono andato a vivere da solo, ho imparato a badare a me stesso, ho reciso ogni legame con quella che era diventata solo una dipendenza affettiva.
Ho mantenuto integro il mio ruolo di padre, ho capito che amo la vita e voglio viverla, mi sono avvicinato ad un’altra donna instaurando una relazione intima più sana, stupendo anche me stesso e mettendo di nuovo insieme i cocci di quei sentimenti che mi erano stati fatti a pezzi.
Ho cambiato amici, ho intrapreso nuovi hobby, mi sono aperto al mondo e alla gente, ho raggiunto quel sano egoismo che prima non mi apparteneva, ho imparato a vivere l’ “hic et nunc”, “l’ora e l’adesso”, senza pensare troppo all’angosciante futuro.
E’ così che ho attraversato la mia tempesta, in effetti non so se l’ho attraversata del tutto, a volte resta il timore di tornare al punto di partenza, ma ripeto a me stesso che questo non è possibile.
Solo con una potente autostima si può vivere serenamente la propria vita, solo credendo in se stessi, ce la si può fare, anche quando tutto sembra perduto.
P.S. Mi è costato molto scrivere queste righe, ho pianto per la commozione mentre lo facevo, perché ho rivisto la mia triste e dolorosissima storia scritta nero su bianco, ma l’ho fatto, perché non ho più paura, perché spero che possa servire agli altri, a chi crede che tutto sia perduto, a chi vede tutto nero, a chi non spera più e invece non sa che proprio il problema è la soluzione.
Simone
ContinuaTerapia di Gruppo e il gioco di squadra
Terapia di Gruppo, Il gioco di Squadra nella Stanza degli Specchi
Una cosa che penso possa valere in qualsiasi settore delle nostre vite è che dal gioco di squadra la ricompensa sarà sempre doppia.
Pensare da team porta ad attenuare le fatiche mentali e fisiche che accumuliamo senza renderci conto, accresce fonti, quali l’armonia e creatività, ma senza mortificare le doti personali dei singoli.
Contare su colleghi, team worker, porta a contare su più idee.. risorse.. energie, su angoli profondi di vedute differenti, ottimizzando così le potenzialità del caposquadra che ha il compito di mostrare il valore di ciascuno dei suoi compagni di squadra, dal veterano al nuovo arrivato.
Termine chiave è la condivisione, che sia fallimento o successo. Il Cooperare supera il Competere.
La finalità di tutto ciò è riuscire ad avere una mentalità più coraggiosa e motivata che prevarranno su stati ansiosi spesso immotivati..
Conta ritrovare la fiducia e le cause dei nodi di un blocco emotivo e solo chi crede fermamente di potersi migliorare in un contesto allargato, mettendosi in discussione ed svoltando, può risalire la china, anche se di primo impatto un suo collega non gli vada a genio.
La stanza degli specchi è come il più classico dei fine primi tempi, squadra negli spogliatoi a condividere ciò che gli passa per la testa, a capire e carpire dove si è sbagliato e accogliere i punti di vista dei compagni.. per riuscire a ritrovare il bandolo della matassa, per arrivare alla vittoria: Comunicazione e Dialogo dalla superficie alle grotte.
Si può capire quindi di come abbia un valore importante, per il benessere del singolo, il termine Gruppo.
Il Noi che riporterà l’Io ad avere più consapevolezza dei propri mezzi.
Non è mai troppo tardi per essere sicuri di sè. Just do it.
La Classe delle 18
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