Il Dolore
Il dolore- dalla perdita, alla riappropriazione di se stessi
A chi non è capitato di dover affrontare un periodo molto difficile, intriso di dolore, accompagnato da situazioni che sembrano fuggire dalle proprie mani. In momenti come questo può capitare di sentirsi impotenti di fronte agli eventi, sentirsi passivi e vivere da spettatori gli avvenimenti per paura di affrontarli.
Ci si sente naufraghi della propria vita, sballottati dalle onde situazionali, a motore spento e solo con dei remi che non ci permettono di affrontare il mare in tempesta, in questa cornice ci si ritrova a naufragare in solitaria.
Ma in una cornice come questa il risultato può essere ambivalente, accompagnato da sfumature e colori a seconda della nostra risposta emotiva.
Il dolore può portare ad una solitudine primordiale, un contatto reale e viscerale con noi stessi. Ad un sentirci e pensarci pienamente, il dolore ci riporta a noi stessi, a sentire la nostra pelle, i nostri pensieri, il nostro essere, la nostra anima. Ci riporta ai nostri bisogni e ai nostri desideri.
Vivendo il dolore, al contempo, è possibile che ci si senta perduti, soli, impauriti, piccoli in uno spazio sconfinato e sconosciuto. Appare chiaro quindi che il risultato potrebbe essere quello di cercare salvezza all’esterno, negli altri.
Il dolore quindi può portare a creare dei legami salvifici, legami che potrebbero non avere delle reali basi, ma semplicemente bisogno di fuggire, di allontanarsi e scappare. Ci si ritrova a fuggire da noi stessi nel disperato bisogno e speranza che la fonte di dolore scompaia. E scappando ci aggrappiamo a qualsiasi cosa, persona, situazione. Ma il dolore lo portiamo inevitabilmente con noi.
Finiamo quindi col creare rapporti il più delle volte superficiali, di apparenza perché quello che stiamo realmente cercando si trova in noi stessi, ma la paura può renderci ciechi.
Sarebbe impensabile costruire una casa di legno da soli, senza fondamenta, senza travi, senza stabilità e trasferirsi volontariamente all’interno, vivremmo con il terrore che possa crollare da un momento all’altro, crollarci addosso.
La nostra anima è la nostra casa, le situazioni che viviamo, che scegliamo e non scegliamo, ci formano, ci costruiscono, ci modificano, nessuno di noi nasce e cresce con travi ferree, strutture incrollabili.
Quello che possiamo fare però è lavorare sulla struttura, possiamo affidarci, analizzarci, metterci in gioco, per co-costruire assieme il nostro palazzo,
Imparare come affrontare le situazioni più difficili, i momenti di dolore.
La terapia è ciò che distingue il modo di affrontare il dolore, l’analisi ci permette di porgere lo sguardo sull’impensabile, ci permette di trovare la forza in noi stessi per affrontare un uragano, per non crollare, per rialzarci. Ci permette di ristabilire il contatto con noi stessi, tornare a essere protagonisti della nostra vita, di entrare nel dolore, toccarlo, immergerci, analizzarlo e uscirci, con l’aiuto di un professionista che ci dona gli strumenti per poter ricostruire insieme le fondamenta della nostra anima, che potremo abitare per sempre, senza temere più che possa crollarci addosso.
benedetta racanelli
tirocinante di psicologia
presso lo studio burdi
Migliorarsi o riscoprirsi
Spesso quando si inizia un percorso di psicoterapia ciò che ci guida è la possibilità di migliorare alcune parti di noi stessi che non ci piacciono o che ci fanno soffrire. Quelle parti che identifichiamo come cause della nostra sofferenza, che ci portano, ad esempio a restare a casa, ad isolarci, a non fidarci; quelle parti che ci portano a passare le giornate a letto, quelle parti che ci portano ad aver paura anche del gatto che attraversa la strada o del sole che splende troppo.
Si inizia un percorso di psicoterapia con la speranza di poter migliorare, magari anche di eliminare quelle parti che ci sembrano così anguste e cattive. Quelle parti che non ci permettono di essere come vorremmo.
Durante il percorso, capita, poi, di rendersi conto che quelle parti hanno messo le radici che affondano nella nostra persona. Si sono radicalizzate e lasciarle andare non è così semplice.
È difficile, richiede sforzo, a volte pare estenuante.
Eppure nel corso della terapia ci rendiamo conto di come queste parti, che tanto abbiamo odiato e che tanto ora son difficili da “rimuovere” ce la siamo spesso appiccicate. Ci siamo cuciti addosso un abito che è quello che ci ha permesso di andare avanti fino a questo momento.
Ci siamo isolati perché qualcuno ci ha fatto credere di essere invisibili, ci rintaniamo nel letto perché abbiamo paura di muovere un passo credendo di aver il potere di causare disgrazie.
Abbiamo fatto esperienza di come la nostra persona, per un motivo o per un altro non fosse accettata, accolta.
Implicitamente, nel corso delle nostre esperienze, ci è stato fatto capire cosa andasse bene e cosa no, cosa dovessimo modificare e come.
E da lì abbiamo cercato di rispettare al meglio le richieste del nostro ambiente, cercando di esser sempre “meglio”.
In terapia ci rendiamo conti di come questo abito che ci siamo cuciti addosso in realtà nasconde, cela e sotterra quello che c’è al di sotto. E spesso non sappiamo nemmeno quello che c’è al disotto.
In terapia ci rendiamo conto di come non è migliorare quello che ci serve ma riscoprirci.
Ci rendiamo conto di come ciò che siamo, sentiamo vogliamo è differente da ciò che mostriamo e da ciò che abbiamo costruito.
Riscopriamo di saper essere ironici, riscopriamo una passione, riscopriamo capacità e anche limiti.
Immagino il miglioramento come una strada dritta, con spessi guardrail che impediscono di guardare ai lati. Per essere migliore, anzi il migliore, i passi sono segnati. Ci sono indicazioni precise e le distrazioni non sono contemplate.
Immagino la riscoperta come un incrocio confusionario, con mille vie da poter prendere e l’imbarazzo della scelta. Immagino la riscoperta come qualcosa di creativo, di esplosivo e allo stesso tempo quieto.
Riscoprirsi richiede prove, tentativi ed errori. Imbocchiamo la prima strada che magari non ci piace, ma c’è un altro incrocio in cui possiamo cambiare la nostra direzione.
Il percorso lo creiamo noi, come vogliamo, con i colori che vogliamo e mille ponti che ci permettono di passare da un punto ad un altro.
La terapia ci aiuta a scoprire che in realtà poco ci importa di essere migliori, di essere il migliore.
Tanto ci importa capire chi siamo. Riscoprire le mille possibilità che abbiamo per realizzarci ed esprimerci.
Ci interessa scoprire di non avere una vita destinata, ma una vita da costruire.
Ci interessa scoprire che oltre al “dovere”, per noi c’è il “piacere” e che nelle mille direzioni c’è quella che ci consente anche di accomunarli.
Possiamo riscoprire chi siamo, liberandoci di chi ci imponiamo di essere.
Fabiana Manghisi
Tirocinante presso lo Studio Burdi
Laurea Magistrale in Psicologia Clinico-Dinamica
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